Venerdì c'è l'inaugurazione dell'esposizione nella vetrina del ME.SIA S.PACE di una mia opera.
Per chi volesse incontrarmi, sarò lì dalle 18:00.
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Dal Vocabolario on line Treccani
riprodurre v. tr. [comp. di ri- e produrre] (coniug. come produrre). – 1. Produrre di nuovo quanto già era stato o si era prodotto: ... 2. a. Produrre, ricavare da un originale o da un prototipo uno o più esemplari più o meno esattamente corrispondenti ... rielaborare v. tr. [comp. di ri- e elaborare] (io rielàboro, ecc.). – Elaborare di nuovo, con criterî e fini diversi ... Dopo tanti anni, il processo di apprendimento e di crescita continua a essere la successione delle due azioni definite dai verbi riprodurre e rielaborare. Osservare il lavoro di ceramisti antichi e contemporanei. Riprodurne (o tentare di farlo) il loro lavoro per coglierne l'essenza per poi rielaborarlo secondo il mio stile. Sempre più spesso, ultimamente, la fase di riproduzione avviene solo su carta ma non smetto di dedicare tempo a questo aspetto del processo. Soprattutto mi piace ancora farlo. Per esempio la ceramica etrusca ... chissà, l'anno prossimo, magari. Intanto studio Per fare bene un pezzo devo sapere tutto fin dall'inizio.
Quando mi siedo al tornio con una palla d'argilla in mano devo sapere cosa sto facendo; la funzione dell'oggetto, certo; la sua dimensione e la sua forma, in modo più possibile dettagliato; se si tratta di una ciotola, ad esempio, devo avere già in mente se avrà le falde tese o curve e se il bordo avrà un garbo verso l'esterno o resterà rigido oppure se andrà a chiudere verso l'interno e poi c'è da definire l'attacco al piede e, ovviamente, come sarà fatto il piede stesso. Ma non basta aver chiari gli aspetti geometrici e formali, ho bisogno di prevedere come sarà rivestito il pezzo, l'eventuale ingobbio, lo smalto o gli smalti, e se avrà o meno dei segni a ossido. Insomma tutto. Devo poter immaginare il pezzo finito. Più la visione è chiara e più probabilità ci sono che il lavoro arrivi in fondo fatto bene. Si chiama progetto. Lee Krasner ovvero la riscoperta di un'artista del '900 Qualche tempo fa, l'8 ottobre, è uscito un articolo sul sito “Artsy” che raccoglie brani di diverse interviste rilasciate dalla pittrice espressionista Lee Krasner (1908-1984) negli ultimi venti anni di vita. Si parla dell'importanza di perseveranza, spontaneità, fallimento e rischio. L’articolo è strutturato in tre blocchi: #1 sulla necessità di lottare per imporsi e ottenere il proprio spazio. Nel suo caso gli ostacoli sono stati il sessismo imperante anche nel mondo dell’arte nella prima parte del XX secolo – il suo insegnante di disegno, per farle un “complimento”, le disse che le sue opere erano talmente belle che non si direbbe che siano state fatte da una donna – L’enorme ombra del marito, il pittore Jackson Pollock e la difficoltà che gli artisti astratti americani incontrarono nella prima metà del ‘900 nell’imporsi all’attenzione dei “guardiani del mondo dell'arte”. #2 sull’importanza del cambiamento o, come diceva lei stessa, della rottura. Mi ritrovo a lavorare per un certo periodo di tempo, di quattro e cinque anni, su qualcosa, poi si verifica una rottura [nelle] immagini e devo seguirla... alla ricerca di un'estetica che sfrutti più efficacemente le sue emozioni. Allo stesso modo sosteneva il cambiamento anche nell’atto stesso di dipingere: quando dipingo non mi interessa una teoria che già esiste perché penso che ci sia un sacco di pittura morta, non interessante, sterile. Beh, non è molto eccitante, per l'amor del cielo. Uno vuole scoprire e ancora “nel momento in cui inizi a dire che questo non si può fare e quello deve essere fatto e non si può fare l'altra cosa, beh, è roba piuttosto noiosa e certamente non stai consentendo alcun tipo di scoperta. Stai tagliando rapidamente quella fonte. Quindi, secondo la Krasner, è necessario lasciarsi andare e così, parlando del suo atteggiamento nel lavoro diceva: Insisto per lasciarlo andare nel modo in cui sta andando invece di forzarlo. Le cose miracolose, le piaceva dire, accadono quando non sei rigido su un'idea fissa, prima di entrare nel tuo studio, su ciò che dovrebbe essere un dipinto ... perché questo sembra togliere tutta la gioia di vivere. #3 sulla rivisitazione dei propri fallimenti: leggendo le sue parole si direbbe che il cambiamento di cui la Krasner parla, quando dice: Per quanto riguarda me, penso che il cambiamento sia l'unica costante, non sia un processo lineare ma proceda come un pendolo e in effetti tornava spesso sul lavoro passato, reinventando progetti falliti sotto forma di nuove composizioni; raccontando di come è nata una serie di sue opere tra le più celebri dice: ho fatto una serie di disegni, li ho appuntati in tutto lo studio, un giorno sono entrata, li odiavo, li ho strappati tutti e li ho buttati sul pavimento. Quando sono tornata di nuovo in studio, diversi giorni dopo, [i disegni] messi in quel modo avevano un bell'aspetto … Questo sembra essere il mio processo di lavoro: torno costantemente a qualcosa che ho fatto prima, rifacendolo, facendo qualcos'altro e uscendo con un'altra immagine, più chiara possibile ... Distruggere per ricreare. In rete, naturalmente, si trova molto materiale. Ovviamente molto di più se opta per la lingua inglese. Personalmente trovo interessante spulciare qua e là, tra i libri o in rete o ascoltando qualcuno che parli dei processi creativi e produttivi - Faccio sempre una certa difficoltà a distinguere la creazione dalla produzione ma questo è un problema mio. Della breve sintesi che ho proposto sopra, nella fase attuale della mia vita di ceramista, mi interessa particolarmente il contenuto del blocco #2. Quel lasciarsi andare è centrale nella ricerca di un linguaggio personale, che superi le cose già viste e ci consenta di produrre una sintesi originale di ciò che ci circonda ma è anche il modo più rapido per arrivare al compimento di brutture vuote e inutili. Schifezze. Probabilmente c'entra il talento che se c'è ti accompagna nell'incoscienza del "gesto" ma, secondo me, c'è dentro anche quello che antichi insegnanti cinesi sintetizzavano così: Se aspirate a fare a meno del metodo, dovete imparare il metodo. Se aspirate alla facilità, dovete lavorare con accanimento. Se aspirate alla semplicità, dovete imparare a fondo la complessità.* Che, detto in modo più terra terra, secondo me vuol dire osservare, studiare e lavorare. Su ogni singola parte del processo produttivo in cui siamo coinvolti. Solo così si può sperare di assimilare il mondo circostante e al contempo acquisire gli strumenti idonei a tradurlo in pensieri, oggetti e opere. Mi rendo conto, è un concetto tanto banale quanto ovvio eppure ci sono momenti nel proprio rapporto con il lavoro nei quali si sente un impulso a cambiare passo; è come un richiamo irresistibile che ci rende insopportabile continuare a fare le cose che stiamo già facendo, nel modo in cui le abbiamo fatte finora. Momenti come quello in cui Lee Krasner stacca i suoi disegni dal muro, li straccia e li getta per terra. Il punto è che non sempre poi torni il giorno dopo e trovi per terra la risposta che cercavi per cambiare le cose. E' semplice, in certi momenti, se ti lasci andare, torni alle consuetudini e questo non va bene. Non in generale. Non va bene per me, adesso. Quindi mi sono messo di nuovo a osservare, a studiare e, un po', anche a lavorare. * Da: "Gli insegnamenti della pittura del giardino grande come un granello di senape" LUNI EDITRICE Devo premettere che sono un po' stanco del "Forno di maggio". Ora racconto l'ultimo capitolo, le cose che mi sembrano interessanti da lasciare agli atti, poi inizierò a parlare di quello che verrà; su cui sto già lavorando. Ci vuole pazienza in questo lavoro. Il progettoCon questo post chiudo il ciclo dedicato allo smalto Irabo e alle sue varianti. Quelle di oggi sono interessanti perché da un lato apportano modifiche su una delle due componenti di base: l’argilla e dall’altro introducono un terzo elemento, in quantità modeste, tali da non snaturare l’essenza dello smalto di partenza ma in grado di aggiungere un particolare umore, come un cambio di luce. Come sempre, niente di nuovo. Anche le due formulazioni che propongo qui sono un semplice adattamento ai miei materiali e ai miei metodi di cottura dei lavori di altri ceramisti. L’inizio del percorso, insomma, poi vediamo dove mi porteranno queste varianti. Tanto per la cronaca, i ceramisti a cui faccio riferimento sono Carlos Versluys e Anne Franchetti. Al solito, è interessante notare come partendo da formulazioni analoghe si arrivi spesso a risultati radicalmente diversi modificando materiali e cottura, ma questo ormai lo sappiamo e ce lo aspettiamo. Quello che è utile, allora, è individuare, nel risultato ottenuto, le potenzialità di sviluppo. Insomma, non mi voglio soffermare sulle cause che determinano le differenze dall'originale e sforzarmi di raggiungere i risultati già raggiunti da altri, piuttosto voglio andare subito a cercare di capire se il mio modo e miei materiali, combinati a una certa formulazione di smalto, possano dare vita a qualcosa di interessante. Naturalmente il primo passo è un’applicazione più o meno pedissequa della formulazione data. Il passo successivo sarà, poi, lo sviluppo delle potenzialità che eventualmente dovessero emergere in prima battuta. Qui siamo al primo passo. I due esperimenti proposti prevedono l'uso della terra gialla di Tolfa al posto della terracotta come componente argilloso dello smalto. Ricordo che si tratta di un materiale piuttosto refrattario, quindi è utile aggiungere un terzo elemento, in quantità minore, che favorisca la fusione dello smalto. Nel primo caso l'elemento fondente è proprio la terracotta, che così rientra nella formulazione dello smalto in qualità di attore non protagonista. Nel secondo caso utilizzo il feldspato. Arido mistoSmalto “Arido misto”, una combinazione 50/50 di “Arido 1a” e “Arido 1b”: Arido 1 Cenere di olmo lavata 40 Argilla gialla di Tolfa 40 Terracotta 15 Composto nelle varianti “1a” che contiene 2% di Ossido di Titanio e “1b” con il 5% di Rutilo. In effetti, tenendo conto che il Rutilo è sostanzialmente ossido di Titanio, credo che di poter sintetizzare la formula mediando le percentuali di Titanio in forma di Ossido con il Rutilo. Al di là delle macchie di colore (altri smalti), è comunque uno smalto sporco, disomogeneo, grezzo. Forse va dato con spessori maggiori; probabilmente deve essere amalgamato meglio utilizzando materie prime più raffinate. Oppure va bene così sopratutto se utilizzato come complemento di altri rivestimenti. Nel lavoro che sto preparando, per esempio, che riguarderà i vulcani, chiazze e aloni giallastri possono tornare utili... Arido 2Il ProgettoContinuo a chiamarlo Irabo;
Irabo è il termine giapponese che indica un particolare tipo di smalto da ceramica composto solo da cenere di legna e argilla; ne ho già parlato QUI e QUI; quindi si tratta di un proto-smalto; proto: dal greco πρωτος (protos): il primo; con questa semplice miscela… con l’aggiunta di argilla alla cenere di legna, di cui si era intuita la funzione vetrificante e coprente, inizia, molto probabilmente, la piena consapevolezza dell’uso del rivestimento smaltante in ceramica. L’argilla serve per stabilizzare la cenere che altrimenti, alle alte temperature, colerebbe. Alcune volte è così: quattro righe per spiegare diversi secoli di lavoro, studio, sperimentazioni, prove, fallimenti, intuizioni, errori, incidenti fortuiti. Poi la conoscenza si mette in viaggio: prima i cinesi, poi i coreani, infine i giapponesi; ognuno con la propria sensibilità, cultura e, soprattutto, con i materiali a disposizione. Questa è la storia. Molto dopo, in epoca moderna, con alle spalle l’evoluzione millenaria dell’uso degli smalti, ogni tanto qualcuno ricomincia da qui: dal proto-smalto; dalla miscela di argilla e cenere di legna. Oggi, però, nel bagaglio del ceramista ci sono conoscenze di chimica, di fisica e di mineralogia, oltre alla possibilità di approvvigionarsi di materiali prodotti industrialmente o provenienti da posti diversi e lontani. Le possibilità sono maggiori, ma questo non ci rende migliori, sicuramente abbiamo perso la sensibilità nel trattare i materiali che abbiamo tra le mani; è un concetto generale, anche il fuochista, per esempio, oggi dispone di computer che controllano la cottura, di pirometri e tutta la strumentazione per la regolazione del fuoco ma pochi o nessuno saprebbe dedurre la temperatura dal colore della luce nel forno. Nozioni e tecnica da un parte; sensibilità dall'altra: è così? c'è un equilibrio da ricercare tra queste diverse facoltà? Le maggiori conoscenze e la strumentazione sofisticata ci devono rendere più responsabili. Recuperare tecniche antiche non vuol dire rifiutare l'ampio contenuto del nostro bagaglio ma, al contrario, ci mette nelle condizioni di operare consapevolmente attingendo alle conoscenze che scienza e tecnica ci mettono a disposizione... affinando così la nostra sensibilità. Ne ho già parlato; ne parlerò ancora; è un tema centrale della nostra epoca. Sono partito dalla formulazione che prevede l’uso di terracotta, quindi di un’argilla fusibile, in rapporto 50/50 con la cenere di legna lavata. Non sono certo dell’origine di tale formulazione: cinese? coreana? immagino che la prima, la proto-formula, fosse diversa; probabilmente prevedeva l’uso di gres, cioè della stessa materia usata per foggiare il corpo dei pezzi da rivestire; così come la cenere, molto probabilmente, non era lavata. Ecco che con due semplici ingredienti si è già aperto un ampio ventaglio di possibilità; poi ci sono da considerare l’effetto dello spessore di questo smalto e l’interazione con l’argilla sottostante. Procedo modificando un parametro alla volta. Allora, tenendo a mente il tema dell’infornata di maggio: l’Autunno, vediamo come ho declinato il mio proto-smalto.
Annoto sul diario la necessità di riprendere la sperimentazione con la cenere vulcanica, sia miscelata con la cenere di legna, al posto della terracotta, che viceversa. Nel secondo caso uscendo dalla categoria irabo. Forse anche il primo caso è fuori ma trovo la cosa irrilevante. Ciotola A Qui ho usato lo stesso smalto sul medesimo gres del corpo usati per i pezzi del post richiamato sopra (“Irabo” del 8/3/2019). Anche su questo pezzo ho dato schizzi di iron stain. È chiaro, che quello che cambia, tra questa ciotola e quelle del post di marzo, è lo spessore dello smalto; qui c'è solo una pallida e piatta colatura verdastra, lì le colature hanno corpo e spessore e caratterizzano, definendolo, tutto il rivestimento. A pensarci bene anche lo smalto… qui la cenere usata è di legno di pino, nell’altro caso era di quercia. Per adesso, però, penso di più allo spessore; questo vuol dire che seguiranno prove con spessori maggiorati. Comunque devo ricordarmi di riprovare con la cenere di quercia. Il risultato è una ciotola dall’aspetto un po’ troppo arido, con poca profondità nel colore e priva di elementi decorativi che, risaltando, prendano rilevanza. Ciotola BLo smalto è lo stesso di prima, pure sul medesimo gres bianco e con gli schizzi di iron stain, ma con aggiunta di diossido di titanio puro in ragione del 2%; in progetto pensavo di metterne meno, l'1%. Diossido: il suffisso di-dal greco δις (dis) che significa due, doppio; equivalente del latino bis, quindi è come dire biossido; due atomi di ossigeno e uno di titano: TiO2. Qui l’ossido è puro, una polvere bianca. Il titanio tende a far virare il colore verso i toni del giallo. Ciotola CAncora stesso smalto e stesso gres bianco stessi schizzi, ma con aggiunta nello smalto di Rutilo in ragione del 5%; Il rutilo è… biossido di titanio. Non mi è ancora chiara la differenza con il biossido di titanio puro. Il rutilo si presenta come una polvere marrocina. Probabilmente, essendo un minerale naturale e non estratto chimicamente contiene delle impurità. Qui è difficile cogliere le differenze tra i due smalti perché la percentuale di biossido di titanio introdotta nella ciotola B è meno della metà di quella del rutilo nello smalto C. Insomma, devo approfondire. Il ProgettoLe ciotole di quest'infornata nascono così. Un disegno e qualche appunto sui materiali sugli smalti da usare. Qui, come ho detto in un post precedente, il tema era l'autunno.
Complessivamente li trovo due pezzi riusciti. Avrei preferito che venissero fuori chiazze di verde e giallo ma, tutto sommato, vanno bene anche così. Clicca qui per modificare. La prima - interno nukaLa seconda - interno junPer lo smalto di fondo il riferimento è il post Da Tian Mu a Tolfa del 12 febbraio scorso.
Ci potete andare direttamente cliccando sul tasto qui sotto. Foto degli schizzi preparatori e del pezzo in fase di realizzazione - non ancora smaltato. Le foto risalgono al 2013. Il pezzo è un katakuchi - è tanto che non ne faccio più. Ho sempre avuto chiara l'importanza del disegno preparatorio. Certo, si può lavorare anche senza, avendo in testa il progetto, la forma. Ci si mette al tornio e le mani "tirano su il pezzo", che quasi sembra lavorino in modo autonomo. Un certo automatismo in lavori come quello del tornitore è fisiologico soprattutto per forme che si ripetono, ma per mettere a punto una certa forma che ho in testa oppure se voglio riprodurre un pezzo che ho visto, ho bisogno di disegnare, prima. La fase di studio di una forma è, per me, essenziale e passa per il disegno. Infine, è utile confrontare il pezzo foggiato - magari anche biscottato, come il katakuchi qui sopra - con i disegni preparatori; è utile perché aiuta a mettere in relazione il disegno con la forma tridimensionale che ne deriva: l'intenzione col gesto. Ho rifatto i piatti. Ne ho cinque perché uno si è rotto in fase di asciugatura e non ho avuto il tempo di rifarlo; poco male, mi interessava di più mettere a posto le cose dopo il disastro dell'ultima infornata - vedi post precedente del 11 maggio scorso. Il Progetto n. 6 pezzi fognatura al tornio diametro al finito 26 cm circa impasto: gres grigio Le intenzioni il Progetto è sostanzialmente lo stesso, ho aumentato un po' il diametro, già che c'ero, per accompagnare l'incremento dello spessore che invece, nelle intenzioni, serviva a ridurre le deformazioni. La Realizzazione n. 6 pezzi fognatura al tornio diametro al tornio (appena foggiato) 28/29 cm devo compensare il ritiro gres grigio chamottato pennellata di ingobbito bianco (hakeme) Un processo affidabile Come dicevo, uno dei piatti è andato già in fase di produzione. Forse è rimasto al sole qualche ora... anzi, sicuramente è così perché è stato fatto come gli altri, solo che gli altri li ho rifiniti di sera e il grosso dell'acqua l'hanno rilasciata di notte. Ma, dicevo, poco importa, quello che mi interessa è individuare un processo affidabile e, quindi, replicabile. Siccome credo di esserci, penso che rifare il piatto mancante oggi non sia un problema. Smaltatura e cottura Smalto, uguale per tutti: Coreano. Decorazione: schizzo doppio (due pennellini affiancati) uno di iron stain e l'altro di uno smalto vero e proprio saturo di ferro (vedi macchioline brune); una leccata di smalto jun sul bordo e qualche goccia di tea dust (macchie verdastre). Cottura in riduzione a cono 9/10. Una composizione complessa Nel preparare questi piatti ho cercato di mettere insieme vari elementi in una composizione più complessa del solito, del mio solito, senza tradire la propensione a realizzare pezzi semplici, come già vissuti, già sporchi... penso alla pietra, al ferro ossidato, concrezioni... Su ogni piatto, oltre alla terra di cui è fatto, c'è un ingobbio, macchie di ossido, lo smalto di base e altri tre smalti; in totale concorrono e interagiscono 6 elementi; sei materiali; sei colori. L'essenza La mano di smalto coreano (io lo chiamo così perché è la rielaborazione dello smalto proveniente dalla tradizione pungh'ong), che di solito è un velo uniforme e molto sottile, qui è data apparentemente con meno attenzione, è sempre sottile, anche se non sottilissima, e irregolare, con tanto di colature. Nella foto sotto, la colatura bianca che scorre sotto la falda del piatto non è ingobbio (come il bianco sulla faccia superiore) ma una goccia di smalto che, dove più spesso, tradisce la sua essenza feldspatica a quarzosa. Sempre dalla foto sotto si rivela l'interazione dello smalto con l'argilla, all'altezza del piede si può vedere il cambio di colore tra argilla rivestita di smalto e argilla nuda; il "coreano" sottile è trasparente, nel senso che lascia passare la luce, ma modificando il colore. Non sono tutte rose Un difetto comunque c'è. Un paio di piatti si sono leggermente deformati. Quello della foto sotto nemmeno tanto leggermente. Non si tratta di una deformazione che deturpa il pezzo ma è pur sempre un'anomalia non cercata. Qui il problema è legato al passaggio da cono 9 a cono 10 che sto adottando nella mia scheda di cottura. Alcune argille, anche tra quelle che uso da anni, tollerano male questo incremento di temperatura e basta uno spessore più sottile o una forma più delicata (come le falde di un piatto) per mandarle in crisi. Un confronto impietoso
A seguire due foto, la prima con un pezzo proveniente dall'infornata del 11.5.2018 e la seconda con uno di quest'ultima. un lavoro facile... La signora M qualche tempo fa mi ha chiesto di realizzare per lei un set di sei piatti. Per darmi un'idea di cosa voleva me ne ha mostrato uno, a mo' di prototipo, pure di mia produzione; quindi un lavoro facile... Si tratta di un piatto del diametro di circa 22 cm realizzato con un grès grigio contenente una parte sabbiosa.a grana fina (25% 0 - 0,2 mm); decorato con una pennellata di ingobbito bianco (tipo hakeme) e rivestito da uno smalto semplice, quello che chiamo coreano, a base di cenere, feldspato e quarzo, dato molto sottile. Infine c'è uno schizzo di iron stain (macchie a base di ossido di ferro). Tutto qui. In effetti è un tipo di prodotto abbastanza collaudato. Il Progetto n. 6 pezzi fognatura al tornio diametro al finito 25 cm circa impasto: gres grigio Liscio liscio La prima difficoltà sorge alla consegna del grès, per un malinteso col fornitore non è quello contenente sabbia. Si tratta dello stesso grès stesso produttore, ma è a grana fina, finissima, senza chamotte, morbido, ben lavorabile al tornio ma manca la sabbia ed è un problema perché così viene meno quell'aspetto un po' ruvido che mi piace. Non ho tempo per rifare l'ordine, decido di trovare una soluzione. Miscelo il gres grigio liscio liscio con un grès rosso ricco di sabbia a grana media (40% 0 - 0,5 mm). Miscela al 10% di grès rosso e 90% di grigio. Penso che l'ossido di ferro contenuto nel grès rosso possa scurire un po' l'impasto ma, concludo, va bene così. La Realizzazione n. 6 pezzi fognatura al tornio diametro al tornio (appena foggiato) 27,5 cm devo compensare il ritiro gres misto: 90% grigio senza chamotte + 10% rosso a grana media pennellata di ingobbito bianco schizzo a base di ossido di ferro Un po' di sperimentazione Così li mando in cottura per il primo fuoco. Alcuni piatti, specie quelli realizzati per primi, hanno la falda un po' troppo sottile. Ho dovuto "tirarli" in fase di foggiatura per raggiungere la misura voluta, poi, mano a mano che andavo avanti col lavoro, ho aumentato la quantità di materiale. Sono passato da poco meno di due chili e due chili e due; gli ultimi avevano uno spessore più sostanzioso. Naturalmente ho valutato che i primi, quelli sottili, non fossero troppo sottili. Solo che andavano meglio gli altri, quelli fatti dopo. Decido di tenerli tutti, in fondo non ho una grande familiarità coi piatti e ho pensato che fosse utile capire fino a che punto potessi spingermi con questo materiale e nelle condizioni di cottura che utilizzo nel mio forno. Un po' di sperimentazione, insomma. andava benissimo Decido di usare tre diversi smalti (sempre in ambito sperimentazione) Non prima di aver grattato via la pennellata di ingobbito da quattro dei piatti: non ero convinto che tenesse in cottura, mi sembrava che non avesse legato con il grès sottostante... in realtà andava benissimo, come dimostra quello che ho lasciato sugli altri due piatti. Smaltatura e cottura Smalto: 2 pezzi - Jun Nigel Wood: uno sottile / l'altro molto sottile 2 pezzi - Jun Hamada molto sottile 2 pezzi - Coreano + schizzo di tea dust gli ultimi due sono quelli su cui ho lasciato lo hakeme; su alcuni piatti ho fatto colare una goccia di jun al centro. Dove ho tolto l'ingobbio è venuto via anche lo schizzo di ossido di ferro che ho sostituito con uno schizzo di smalto saturo di ferro. offende il mio orgoglio La sorpresa imprevista sono state le bolle. Che questi piatti potessero essere troppo scuri lo avevo messo in conto; che qualcuno fosse troppo sottile me lo aspettavo, ma le sbollature no, non me le aspettavo proprio. Chiaramente ho impastato male i due grès, frettolosamente. Mi chiedo se il grès grigio finissimo, privo di chamotte trattenga l'aria meglio di quelli a grana più grossolana, in fondo è un difetto capitato veramente di rado, eppure uso spesso argille lavorate, rigenerate, reimpastate. Non so, però è un difetto che offende il mio orgoglio di ceramista perché non posso attribuirgli lo status di effetto della sperimentazione. in un colpo solo Riassumendo, il colore è troppo scuro e comunque poco attraente, le foto addirittura ne migliorano l'aspetto; alcuni pezzi si sono deformati; si sono formate bolle d'aria; ho sbagliato a togliere lo hakeme perché, contrariamente ai miei sospetti, ha funzionato bene. C'è di buono che ho concentrato tanti errori tutti insieme, in un colpo solo, fatto che mi rende ottimista per il prossimo giro. tanto per chiarire gli effetti deformanti della foto sul colore, sotto c'è la foto del piatto con le bolle più grandi. Ce n'è un'altra dello stesso piatto più su che ho inserito perché lì gli effetti di luce evidenziano bene le bolle ma per avere un'idea del vero colore l'immagine qui sotto è meglio.
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