Fai quello che puoi
|
"In addition to a clay body, if you have volcanic or feldspatic stone or a type of China clay and ash for glaze, you can make pottery. We must not allow ourselves to complain of the lack of variety or quality of materials... the manner of making natural glazes is generally done by combining a powdered stone that fuses in the kiln whit clay and ash in varying proportions. By varying the proportion of all three materials you will get a large variety of glazes. Then vary the materials a different stone, a different clay and a different ash. There is no end to the glaze you can create when you come to know the nature of the materials to hand."
Shoji Hamada |
Il Progetto
L'humus è prodotto dall'osservazione continua dei lavori di altri ceramisti e, in generale, di forme interessanti di qualsiasi natura, che si traduce in schizzi, disegni, appunti.
Dall'humus al progetto il passaggio avviene spontaneamente. Come un seme che germoglia. In realtà avvengono due processi in successione: riproduzione e rielaborazione. La riproduzione serve a studiare la forma e i rivestimenti di oggetti in ceramica che mi piacciono. Chiaramente una fase di studio che non sempre arriva alla fase di realizzazione ma può fermarsi sulla carta in forma puramente grafica o scritta. la rielaborazione richiede lo sviluppo della personale visione partendo da un dato oggetto. Modificare il bordo di un vaso etrusco o adattare la ricetta di uno smalto ai materiali che si hanno a disposizione. L'importante è arrivare al tornio con un'idea chiara. Con in testa una forma ben definita e la scelta del rivestimento finale già compiuta (eventuale ingobbio, smalto/i, decorazione a ossido) che, a sua volta, determina il materiale per il corpo e l'eventuale utilizzo di un certo ingobbio. Se si tratta di una ciotola, ad esempio, devo avere già in mente se avrà le falde tese o curve e se il bordo avrà un garbo verso l'esterno o resterà rigido oppure se andrà a chiudere verso l'interno; poi c'è da definire l'attacco al piede e se ci sarà un piede e come dovrà essere largo e alto. Più la visione è chiara e più probabilità ci sono che il lavoro arrivi in fondo fatto bene. |
"Gli oggetti di ceramica fatti a mano devono essere letti come un libro e la storia che raccontano parla dei materiali di cui sono fatti e del carattere di chi li ha foggiati". Phil Rogers Quando parlo di rielaborazione parlo della capacità di produrre oggetti che riflettano il carattere di chi li realizza. "Being creative is not so much the desire to do something as the listening to that which wants to be done: the dictation of the materials" Anne Albers La dettatura dei materiali è l'altro aspetto della citazione di Rogers. Basta provare a riprodurre un pezzo con un materiale diverso da quello dell'originale per capire quanto conti la scelta della materia con cui si lavora. |
Argille e foggiatura
Tutti i pezzi sono realizzati in grès o in impasti refrattari con chamotte a grana fine, media e, qualche volta, grossolana.
I materiali per il corpo sono sempre commerciali; non ho ancora iniziato a studiare gli impasti ma non dispero. La foggiatura e la rifinitura sono realizzate al tornio. Quasi sempre. Capita, soprattutto con le chawan, di modellarle a pizzico per poi rifinirle al tornio o, viceversa, di foggiarle al tornio e deformarle in rifinitura. |
Ingobbi
Uso gli ingobbi prevalentemente per modificare il colore del pezzo prima della smaltatura.
Alcune volte ho bisogno che lo smalto abbia sotto un materiale che contenga una determinata percentuale di ossido di ferro; altre volte mi serve il bianco e non è detto che l'argilla a disposizione per foggiare il pezzo abbia questi requisiti. Poi c'è il caso dello hakeme, una o più pennellate di bianco che non coprano interamente un corpo scuro . Infine c'è quella parte del lavoro che esce dalle regole di base come inserire uno strato di porcellana sotto-smalto oppure sovrapporre e mischiare ingobbi di due o più colori come fa Lee Kang-Hyo. Divertimento, insomma. |
Smalti
Gli smalti per le alte temperature provengono quasi sempre dall’antica tradizione orientale (Cina, Corea e Giappone). In origine erano composti da materiali naturali quali argille locali, ceneri vegetali, ceneri vulcaniche e rocce macinate. Oggi questi stessi materiali sono prodotti in grande quantità e in tutto il mondo per mezzo della raffinazione industriale. Quello che i materiali cavati e macinati direttamente dal ceramista hanno di diverso da quelli raffinati industrialmente è il contenuto di impurità.
Una considerazione a parte va fatta per le ceneri vegetali che, per loro natura, non hanno un sostituto vero e proprio. In linea generale si considera che la cenere di legna ha un alto contenuto di carbonato di calcio e svolge, pertanto, la stessa funzione di fondente alle alte temperature mentre la cenere di paglia (o di crusca di riso) ha un contenuto prevalentemente a base di silicio e quindi rientra nella categoria dei vetrificanti. Le ceneri, oltre ad avere un contenuto di impurità, rispetto al costituente principale (carbonato di calcio o silice), hanno anche una peculiare struttura chimica. Ad esempio, la silice contenuta nelle ceneri di paglia ha una struttura estremamente sottile e non si comporta esattamente come la polvere di silice commerciale. Le impurità presenti nei materiali naturali conferiscono agli smalti quegli effetti, spesso imprevedibili, che li rendono unici a differenza dei materiali raffinati industrialmente che hanno un comportamento generalmente più stabile e prevedibile. I motivi per cui si sono imposti i materiali prodotti a livello industriale sono essenzialmente pratici. Innanzitutto rendono possibile un linguaggio comune tra ceramisti di tutto il mondo. Anche se un feldspato di potassio prodotto in America presenta qualche differenza da un altro prodotto in Norvegia, si tratta di differenze modeste e questo rende facile scrivere ricette di smalti e poi utilizzarle in tutto il mondo. Materiali resi omogenei favoriscono lo scambio e la circolazione delle informazioni e delle esperienze. Inoltre consentono a chiunque e ovunque di disporre di qualsiasi materiale grazie alla rete commerciale globalizzata., Infine, bisogna considerare l'aspetto storico della cosa. Per tutto il '900 i ceramisti occidentali hanno lavorato per tradurre i materiali utilizzati dai ceramisti dell'estremo oriente in materiali reperibili ovunque. Quando Shoji Hamada descriveva il suo smalto nuka parlava di tre componenti: la pietra Terayma, la cenere di crusca di riso e la cenere di legna. Quest'ultima è replicabile ovunque ma come fare con la crusca di riso? e cos'è òa Terayama? Lo studio dei ceramisti occidentali del XX secolo ha dato risposta a questo tipo di domande rendendo possibile replicare lo smalto nuka di Hamada. La cenere di crusca di riso porta un contributo estremamente elevato di silice e, quindi, può essere sostituita da cenere di paglia o direttamente da quarzo; la Terayma è un felspatoide e i sostituti migliori sono il feldspato di potassio o la Cornish stone. Quest'ultimo aspetto, che ho definito storico, è, per me, particolarmente importante perché fornisce il senso più personale e profondo del mio lavoro in ceramica. La ricerca che porto avanti da diversi anni punta sulla rielaborazione degli smalti, codificati in occidente sulla base di quelli originari dell’estremo oriente, introducendo nelle ricette materiali naturali del mio territorio. |
Praticamente sto facendo il percorso inverso. Dai materiali standardizzati a quelli naturali. Spesso nelle mie ricette ci sono gli uni e gli altri perché così posso studiare un materiale alla vota, in un certo senso, dargli importanza.
I materiali naturali più comuni nei miei smalti, oltre alle ceneri di varie essenze arboree (olivo, quercia, pino, olmo, ecc) sono le argille di Tolfa e Allumiere; le rocce vulcaniche laziali; la pomice di Lipari.
I materiali naturali più comuni nei miei smalti, oltre alle ceneri di varie essenze arboree (olivo, quercia, pino, olmo, ecc) sono le argille di Tolfa e Allumiere; le rocce vulcaniche laziali; la pomice di Lipari.
Cottura
Generalmente eseguo la cottura in due fasi: primo fuoco per il biscotto, in forno elettrico a 970°C e secondo fuoco, per la smaltatura, in forno a gas a cono 9 o 10.
Monocotture ne ho fatte, in passato, ma per adesso non credo di tornarci. Ho sperimentato la cottura a carbone. Il resto, sul piano pratico, mi è ignoto. Tutte le cotture (il secondo fuoco, ovviamente) prevedono la riduzione e sono strutturate secondo due diversi programmi: uno standard per tutti gli smalti tranne lo shino e uno specifico per lo shino. Ne parlerò prima o poi sul blog. Qui sarebbe un po' lunga. Il forno a gas l'ho progettato sulla base delle esperienze di Lou Nils e Frederick L. Olsen. Ne ho realizzati tre prima di questo modificando via via alcuni particolari. Quello con cui lavoro oggi è il risultato di sintesi tra aspetti teorici ricavati dalla letteratura specializzata e la mia personale esperienza. Del resto, come tutto ciò che riguarda il mio approccio con la ceramica. fSi tratta di un forno a fiamma orizzontale la cui principale caratteristica credo che sia nell'assenza di separazione tra le camera di combustione e camera di cottura, quindi, alcuni pezzi sono investiti direttamente dalla fiamma (cottura a fiamma libera). |
Un sistema di cottura a volte brutale, me ne rendo conto, ma mi piace pensare che questa fase del processo di produzione della ceramica preveda una certa quota di "sofferenza" necessaria a tirar fuori dai materiali caratteristiche profonde che altrimenti resterebbero nascoste magari sotto una patina lucida e uniforme. Il prezzo sono gli incidenti classici di queste situazioni: deformazioni del pezzo e colatura dello smalto.
La cottura in riduzione. E' una tecnica che prevede un eccesso di combustibile all'interno del forno tale da consumare completamente l'ossigeno presente nell'atmosfera intorno ai pezzi in cottura. Poiché l'ossigeno è uno dei tre elementi necessari alla combustione (è il cosiddetto comburente) questo viene letteralmente "sottratto" dalla superficie della ceramica in cottura. In tal modo, gli elementi metallici presenti negli smalti e nel corpo delle argille si riducono, in altre parole subiscono il processo contrario all'ossidazione (ferro che arrugginisce, rame che diventa verde, ecc). Solo a titolo di esempio, il celadon, smalto dal colore azzurro-verde quando viene cotto in riduzione, in ossidazione vira verso un colore miele; praticamente non è più un celadon.
La cottura in riduzione. E' una tecnica che prevede un eccesso di combustibile all'interno del forno tale da consumare completamente l'ossigeno presente nell'atmosfera intorno ai pezzi in cottura. Poiché l'ossigeno è uno dei tre elementi necessari alla combustione (è il cosiddetto comburente) questo viene letteralmente "sottratto" dalla superficie della ceramica in cottura. In tal modo, gli elementi metallici presenti negli smalti e nel corpo delle argille si riducono, in altre parole subiscono il processo contrario all'ossidazione (ferro che arrugginisce, rame che diventa verde, ecc). Solo a titolo di esempio, il celadon, smalto dal colore azzurro-verde quando viene cotto in riduzione, in ossidazione vira verso un colore miele; praticamente non è più un celadon.