uno di quelli cotti nell'infornata del 30 aprile scorso,
di quelli preparati per Open House.
è vero, non ho scritto le consuete disamine sull'ultima infornata,
confesso di non averne avuto voglia, succede,
il fatto è che girando quest'oggetto tra le mani è accaduto un fatto:
c'è che altre volte mi è capitato, osservando una ciotola, un piatto, fatti da me, di rivedere le mie mani mentre lo foggiano, o anche di ritornare al momento in cui l'ho rivestito, smaltato;
oggi no, non proprio,
oggi sulla superficie ruvida, grezza; sui bordi frastagliati e rotti; nella consistenza pesante e grossolana; nella decorazione solo abbozzata;
in tutto questo ho rivisto le mie mani per quello che sono, come ritratte;
in tutto questo c'è come vedo ora me stesso.
non tragga in inganno la sequenza di aggettivi non proprio lusinghieri,
mi piace questa ciotola, mi piace molto
ma il punto non è questo, il punto è che mi rendo conto di quanto la realizzazione di un oggetto la si possa considerare riuscita quanto più esso è in grado di definire il suo artefice.
lo so, è cosa ovvia, in via teorica lo sapevo già,
volevo solo condividere un nuovo piano, direi emotivo, di comprensione di questo semplice concetto.