riguarda le modalità con cui si arriva, attraverso una o più cotture successive al pezzo finito partendo dal pezzo crudo.
Comunque dirò qualcosa in proposito per completezza.
Diciamo che, nelle considerazioni che seguono, ci riferiamo a pezzi con argilla allo stato di secchezza osso,
quindi l'argilla ha già rilasciato l'acqua libera, in grado di evaporare a temperatura ambiente.
La quantità d'acqua che resta intrappolata tra i granuli varia a seconda del tipo di argilla e della temperatura e dall'umidità dell'ambiente.
L'aspetto che, in questa fase, richiede maggiore attenzione è lo spessore,
infatti, l'argilla cruda, asciugandosi, si contrae, quindi
pareti con spessori variabili, nelle quali l'evaporazione non è omogenea
(le parti più sottili si asciugano prima e in maniera più uniforme tra interno ed esterno mentre in quelle spesse l'asciugatura è più lenta e parte dalle superfici per procedere, più o meno rapidamente, verso l'interno)
quindi, pareti con spessori variabili possono subire stati di stress, con rischio di fessurazioni, a causa del ritiro da asciugatura non uniforme.
Per dovere di cronaca ricordo che esistono forni appositi per asciugatura ed qssiccatura ma, come ho già detto da qualche altra parte, sono attrezzature tipiche della produzione industriale e poco usate nei laboratori artigianali.
Detto ciò, abbiamo i nostri pezzi a secchezza osso,
che ci facciamo?
Abbiamo due strade davanti a noi,
almeno due, in realtà ci sono una serie di varianti,
poi vediamo,
intanto le due principali sono:
doppia cottura: la prima, detta biscottatura o primo fuoco, con cui si cuoce l'argilla senza smalto, ad una temperatura (di solito tra i 900°C e i 1000°C) che la lascia porosa e, quindi, più adatta alla successiva smaltatura
(lo smalto liquido penetrando nei pori si legherà meglio al corpo di argilla); la seconda cottura, o meglio, il secondo fuoco, avviene a diverse temperature in funzione dell'impasto argilloso;
le terraglie tenere, la terracotta e la maiolica vanno intorno ai 950°C - 1000°C; il grès, le terraglie forti e le porcellane vanno, solitamente, tra i 1200°C e i 1400°C;
poi le variazioni sul tema sono, emme al solito, tante;
vale comunque il principio generale;
questo metodo ha il vantaggio di rendere più semplice e sicura la smaltatura perché i pezzi già cotti non hanno la fragilità di quelli crudi e si possono maneggiare meglio, inoltre, l'acqua contenuta nello smalto viene assorbita dall'argilla cruda rendendola delicatissima; anche il biscotto assorbe acqua ma ciò non modifica il suo stato fisico ed è sufficiente aspettare qualche ora, prima del secondo fuoco, perché si asciughi.
In alternativa si usa la monocottura, in questo caso tutto il processo di cottura avviene in un'unica infornata e i pezzi, ovviamente, vengono caricati nel forno crudi e già completi di rivestimento.
La temperatura finale, in questo caso, è quella necessaria alla maturazione dello smalto e, ovviamente deve essere compatibile con l'impasto del corpo argilloso.
E' un processo molto antico e molto più utilizzato di quanto si pensi in tutte le produzioni di ceramica tradizionale, compresa quella italiana.
Dei vantaggi di questo metodo di cottura parlerò presto più diffusamente.
In tutti i casi le fasi della cottura sono quelle descritte nei post sulla cottura. Nel caso di doppia cottura, poiché l'essiccatura, la trasformazione ceramica, la combustione della materia organica e parte della sinterizzazione sono già avvenute nel primo fuoco, durante il secondo fuoco si può procedere relativamente più rapidamente fino ai 900°C. Certo bisogna tener conto dell'eventuale presenza d'acqua assorbita dal biscotto, dell'inversione del quarzo e dei processi analoghi a quelli dell'argilla ma che interessano ora lo smalto. Tanto per dare qualche riferimento, nel nostro forno a gas, il primo fuoco raggiunge i 970°C del primo fuoco in otto ore, mentre, la stessa temperatura, nel secondo fuoco, richiede giusto la metà del tempo.
In via del tutto generale e senza che ci siano regole rigide,
credo si possa dire che la doppia cottura sia praticabile con forni elettrici e con forni a gas. A questa categoria appartiene anche la tecnica del raku (in questo caso il secondo fuoco, rapidissimo, spesso è affidato a piccoli forni a carbone, ma su questo prima o poi farò un post specifico).
Con forni elettrici e a gas si possono fare anche monocotture.
Caso diverso è quello dei forni a legna, soprattutto i grandi forni a legna orientali. Si tratta di forni con più camere, che contengono centinaia o migliaia di pezzi e impiegano giorni per arrivare a temperatura (e altrettanti per raffreddarsi); condizioni che rendono quasi obbligata la monocoltura.
A parte tutte le possibili varianti legate a lavorazioni particolari o a processi industriali, per le quali c'è un'ampia letteratura,
citerei, qui, solo il caso del terzo fuoco.
il terzo fuoco serve per ottenere speciali effetti decorativi quali, ad esempio, le dorature, le decalcomanie, i lustri metallici o la pittura su porcellana;
viene fatta sopra lo smalto già cotto e la temperatura deve essere di almeno 250°C inferiore a quella con cui è stato cotto lo smalto;
con smalti che maturano a 950°C, per il terzo fuoco, si arriva al massimo a 700°C.
Questo genere di cottura non prevede fiamma diretta sul pezzo, perciò richiede forni elettrici o forni a gas muffolati.