Ingobbi vetrosi
nei precedenti post sugli ingobbi abbiamo introdotto alcune formule: la ricetta base proposta da Hansen; la ricostruzione di ingobbi in bianco della tradizione giapponese; in ogni caso escluso l'ingobbio costituito dalla semplice argilla liquefatta (slip) si deve constatare che gli ingredienti di base di un rivestimento non smaltante sono gli stessi di uno smalto: argilla o materiale stabilizzante; silicio, come vetrificante, e fondente. Allora, cosa distingue un ingobbio da uno smalto? qual'è il limite tra i due rivestimenti? alla prima domanda è più facile rispondere, in generale è la quantità relativa di argilla che determina la differenza; alla seconda domanda si direbbe che non c'è una risposta, quanto meno non una risposta univoca. Esiste, infatti, una zona incerta tra un ingobbio fortemente caratterizzato dalla presenza di argilla e uno smalto dal molto vetroso e privo di componente argillosa, in questa zona ci sono rivestimenti che alcuni chiamano ingobbi vetrosi e altri chiamano smalti aridi (dry) un confine universalmente riconosciuto non esiste, anche se in giro si trovano ipotetici limiti: ci deve essere almeno il 30% o il 40% o il 50 % di argilla perché sia un ingobbio... in realtà le cose possono cambiare in funzione degli altri componenti o dal punto di vista o meglio dal parametro scelto ad esempio la quantità di argilla la permeabilità la vetrosità/opacità della superficie insomma, tralasciando a mera terminologia e i tentativi di definizione numerica bisogna lavorare per capire la correlazione tra i materiali e il modo in cui lavorano insieme più che i rispettivi confini
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Ricetta per ingobbio a cono 10
(versione rivista di una ricetta proposta da Tony Hansen) L'ingobbio, dicevo, è una mistura di ingredienti plastici e non plastici; le ricette degli ingobbi sono sostanzialmente simili a quelle degli smalti a parte il fatto che presentano percentuali più alte di ingredienti refrattari ovvero meno fondente e, di solito, meno vetrificante. La componente argillosa, normalmente quella che caratterizza l'ingobbio, è composta da caolino e ball clay; attraverso il dosaggio della ball clay si può regolare il ritiro. Le principali componenti non plastiche sono rappresentate da feldspati e quarzo; per gli ingobbi a bassa temperatura, invece, entrano in gioco le fritte che abbassano il punto di vetrificazione. Talvolta si aggiunge la borace per fornire una migliore resistenza in fase secca, prima della cottura, e per migliorare la fusione tra gli altri ingredienti in cottura. Infine, può essere utile inserire nella ricetta deflocculanti così come si fa per le argille da colaggio. Lo studio per un ingobbio base può partire da una miscela composta da argille e feldspato, i n proporzioni sufficienti da garantire la giusta maturazione, completata da silicio. I due problemi principali da risolvere sono: la corretta scelta delle proporzioni dei componenti che caratterizzeranno l'ingobbio finito e la scelta della giusta miscela di argille (es. ball clay, caolino, bentonite) per fornire un ritiro in asciugatura compatibile con il pezzo. Tony Hansen propone le seguenti proporzioni come base per iniziare: 30-35% Feldspato o Nefelina Sienite si tratta di un contento di feldspato maggiore di quello presente negli impasti argillosi, maggiore anche dell'impasto di porcellana e fornisce una quantità di fondente in grado di produrre una superficie con una leggera lucentezza. Per ingobbi da cono 6 la percentuale di feldspato dovrebbe salire al 50% o anche di più oppure è necessario introdurre fritte a base di boro. 1-2% Bentonite della bentonite ho già parlato, quindi c'è un post dedicato nella categoria "materiali"; in questo caso aiuta a rendere più dura la superficie asciutta affinché sia più resistente alle sbavature prodotte dalla manipolazione del pezzo prima della cottura. La bentonite (prodotta dalla degradazione di ceneri vulcaniche) è composta da particelle estremamente piccole che fanno aumentare il ritiro in fase di asciugatura e si comportano da agenti di sospensione quando l'ingobbio è in fase liquida. In quantità modesta non ha effetti sulle proprietà dell'ingobbir dopo la cottura. 20-25% Ball Clay presenta una granulometria molto sottile conferisce durezza e densità; ritiro elevato Può, inoltre, modificare il colore dal momento che contiene impurità di natura ferrosa. 20-25% Caolino è il naturale complemento della ball clay per la sua maggiore granulometria; conferisce all’impasto una consistenza cremosa; le proporzioni di caolino e ball clay possono essere bilanciate (aumentando quella di uno e riducendo l’altro) per modulare le proprietà fisiche dell’ingobbio nello sviluppo della sua formulazione; sono disponibili caolini plastici, non plastici e calcinati per fornire un aiuto al controllo della durezza dell’ingobbio, della sua capacità di rimanere in sospensione e soprattutto del ritiro, senza effetti sensibili al risultato finale. 20% Silicio conferisce struttura e avvicina le proprietà fisiche dell'ingobbio (in particolare l'espansione termica) a quelle dell’argilla da rivestire, normalmente ricca di questo materiale. Se gli smalti dati sull’ingobbio tendono a generare il cavillo, il silicio può assumere un ruolo rilevante a ridurre il problema. Feldspato, argille e silicio sono gli elementi essenziali, poi si possono aggiungere altri componenti quali: 5% Zircopax serve a conferire al rivestimento biancore e opacità e ad aumentarne la capacità coprente. Inoltre, presentando una granulometria sottile, aiuta a rendere l’ingobbio cremoso migliorandone la lavorabilità. 0.5% Gomma arabica Migliora la durezza allo stato asciutto e rende l'ingobbio più adatto all’applicazione a pennello riduceuendo, però, la velocità di asciugatura. Va da se che le percentuali dei vari componenti vanno calibrate in modo che il totale dia sempre 100%. Per verificare lo stato del legame ingobbio/argilla si può applicare uno strato spesso di ingobbio su di un provino che si trovi al giusto stato di essiccatura. Si lascia asciugare e si cuoce, quindi, se, l’ingobbio si ritira di più dell’argilla sottostante formando placche con bordi arricciati, allora è troppo plastico (ridurre la bentonite o la quantità di argilla plastica in favore di quella meno plastica); se il ritiro è insufficiente tenderà a screpolarsi, si può provare a staccarlo con un coltello, se viene via facilmente vuol dire che non ha subito lo stesso ritiro dell’argilla sottostante (aggiungere bentonite o aumentare il contenuto di argilla plastica riducendo quella meno plastica). Eseguite le modifiche, si prova nuovamente. Sistemato il ritiro si rompe il provino per verificare il legame tra rivestimento e corpo; se questo legame non è buono, perché rivestimento e corpo rivestito non sono ben saldati l'uno all'altro, si deve aggiungere feldspato per migliorarlo. Prima di descrivere la ricostruzione di un ingobbio per le alte temperature,
dalle caratteristiche generiche: applicabile sia in immersione che a pennello; adatto ad essere smaltato ma pure ad essere usato nudo, come finitura; un rivestimento in grado di coprire anche argille scure e che presenti una superficie appena lucida e piacevole al tatto; prima di farlo, dicevo, è necessario comprendere il momento giusto per procedere con l’applicazione dell’ingobbio, in quale fase di asciugatura dell’argilla tenendo conto che l’ingobbio dovrebbe maturare alla stessa temperatura del corpo su cui è applicato per garantire una corretta adesione e nel caso di successiva smaltatura, per costituire un adeguato strato di collegamento argilla/smalto. Gli ingobbi, come gli smalti, possono essere applicati in tre diverse fasi: sul pezzo a durezza cuoio, a secchezza osso o sul biscotto; in generale gli ingobbi adatti a rivestire argille verdi (primo stadio dell'asciugatura) non sono adatti ad essere applicati su argille a durezza osso o su biscotto e viceversa. Nella sintetica disamina che segue saranno evidenti le similitudini con la smaltatura per monocottura (in particolare post del 21 e 28 novembre 2014) Durezza cuoio Probabilmente è il momento migliore per l’applicazione dell’ingobbio poiché permette la gamma più ampia di tecniche di decorazione (a pennello, incisione ecc), unica particolare accortezza, nel caso di applicazione dell’ingobbio per colatura o per immersione, riguarda la modalità con cui agire: bisogna procedere con rapidità per evitare che l’argilla assorba troppa acqua perdendo coesione e provocando così il collasso del pezzo. Per l’applicazione su argille a durezza cuoio, l’ingobbio deve contenere una quantità di argilla sufficiente a garantire lo stesso ritiro del corpo da rivestire; i due punti chiave sono sempre gli stessi: ritiro relativo smalto/argilla e condizioni del pezzo da ingobbiare; in questo caso, l'ingobbio dovrà seguire il ritiro che l'argilla del corpo deve ancora scontare tra lo stato a durezza cuoio e quello a secchezza osso; del resto, i pezzi a durezza cuoio sono molto meno fragili e delicati di quelli secchi quindi sono più facili da maneggiare durante l'operazione. Per compensare il ritiro si usano, di solito, ingobbì ricchi di componente argillosa: argille, terraglie, terrecotte, caolini, ball clay fino al 100% del totale; ovviamente non c'è una regola generale l'importante è comprendere il principio di base, conoscere i materiali che si utilizzano e sperimentare. Secchezza osso Gli ingobbi adatti all’applicazione su pezzi a secchezza osso, pezzi che, quindi, hanno già scontato buona parte del ritiro in fase di asciugatura, devono avere un ritiro basso per poter aderire al corpo anche in fase di cottura; si devono utilizzare ingobbi "grassi", che necessitano di basse percentuali d'acqua per raggiungere una consistenza cremosa adatta all'uso, più semplicemente si può calcinare parte della componente argillosa, il caolino si presta bene a questa pratica; per foggiare il pezzo da ingobbiate a secchezza osso, invece, conviene usare argille plastiche, ad esempio ricche di ball clay, per le ottime caratteristiche meccaniche che presentano a secchezza osso; infine, poiché l'argilla asciutta assorbe l'acqua contenuta nell'ingobbio, rigonfiando, bisogna ricordare di stendere il rivestimento prima all'esterno e poi all'interno o viceversa l'importante e che dopo aver fatto uno dei due lati si aspetta che l'ingobbio e l'argilla del pezzo siano completamente asciutti prima di passare dall'altra parte. Biscotto Gli ingobbi adatti all’applicazione sul biscotto si posso assimilare a degli smalti che non sono arrivati a maturazione. Il ritiro deve essere ridotto al minimo, per questo la componente argillosa dovrà essere ridotta e/o tutta o parte dovrà essere preventivamente calcinata. Da qualche parte ho già spiegato in cosa consiste la calcinazione e cosa comporta comunque, in estrema sintesi, ripeto: le argille spesso hanno una componente carboniosa che perdono in cottura, detta in inglese LOI (Loss on ignition), questo processo porta una perdita di volume (ritiro) ecco spiegato il motivo per cui maggiore è la quantità di argilla calcinata contenuta nell'iingobbir e minore sarà il ritiro in cottura di quest'ultimo. Solo per dare un'indicazione di massima, R.J. Wilson, nel suo "Inside Japanese Ceramics" (Ed. Weatherhill - 1995/2011) fornisce le formule base per riprodurre gli ingobbi in bianco della ceramica tradizionale giapponese: Per pezzi a durezza cuoio: 70% argilla (caolino e/o argilla plastica bianca) 20% roccia silicea o quarzo 10% fondente (feldspato o calcare) secchezza osso: 40% argilla (caolino e/o argilla plastica bianca) di cui una parte calcinata 40% roccia silicea o quarzo 20% fondente (feldspato o calcare) biscotto: 40% argilla (caolino e/o argilla plastica bianca) tutta calcinata 40% roccia silicea o quarzo 20% fondente (feldspato o calcare) Come dicevo all’inizio di questa serie di post sugli ingobbi,
per determinare il rivestimento non smaltante più adatto ad una specifica argilla per prima cosa bisogna conoscere il suo scopo: l’effetto finale che si vuole raggiungere, ad esempio un certo colore o una particolare grana della tessitura superficiale ma è anche necessario conoscere le modalità di applicazione dell’ingobbio e la sua compatibilità con l’argilla sottostante (e pure con lo smalto, se c’è) sia in fase di lavorazione, sia in cottura e poi, ancora, durante la vita dell’oggetto; tutto ciò è regolato da una serie di fattori che possono essere modificati intervenendo sulla composizione dell’ingobbio, è chiaro che se si usa una slip, un’argilla pura liquefatta, non c’è altra scelta che individuarne una che abbia la composizione compatibile all’argilla da rivestire il che si traduce normalmente con l’utilizzo dello stesso materiale; se, invece, l’obiettivo è la realizzazione di un impasto che funzioni da ingobbio, allora la scelta dei componenti e il relativo dosaggio determineranno i fattori fisici che caratterizzano il singolo ingobbio, influenzando le modalità di applicazione, l’interazione con l’argilla da rivestire, la risposta in cottura e l’aspetto finale. I parametri di cui parliamo non sono facilmente quantificabili; a differenza degli smalti, per i quali esistono metodi di calcolo, tanto più accurati quanto maggiore è la conoscenza della composizione chimica dei componenti, che ne consentono la costruzione a tavolino con caratteristiche note e ben definite, per gli ingobbi si deve procedere sperimentalmente: di solito si parte dall’individuazione di una ricetta semplice, che abbia i requisiti idonei almeno sul piano qualitativo, con cui si iniziano i test; normalmente si parte con la verifica delle proprietà fisiche, poi si verifica la compatibilità con gli altri elementi (argille da rivestire e smalti) nelle varie fasi del processo, quindi, se necessario, si torna indietro per sintonizzare nuovamente le proprietà fisiche, procedendo così per successive approssimazioni, evidentemente la chiave per rendere il processo meno laborioso sta nella scelta iniziale: individuare qualitativamente i requisiti idonei è la parte essenziale del lavoro. Quindi su cosa ci si deve soffermare? In primo luogo e soprattutto, come dicevo la volta scorsa, sul ritiro; ma non solo, si devono considerare altri fattori:
La compatibilità tra l'argilla con cui è realizzato il pezzo e l'ingobbio che la riveste è, in larga parte, condizionata dal ritiro, più precisamente dall'andamento nel tempo del ritiro dell'una rispetto al ritiro all'altro; differenze, non solo dell'entità di ritiro totale, ma anche della curva di ritiro da inizio a fine processo sono le cause più frequenti dei difetti negli ingobbi; accade spesso, infatti, che l’ingobbio si distacchi dal pezzo e quasi sempre ciò è causato da un differente ritiro di argilla e ingobbio; solitamente il problema si verifica prima della cottura, in fase di asciugatura. Naturalmente ci sono altre possibili cause ai difetti che occorrono negli ingobbi, in molti casi, ad esempio, l'ingobbio è applicato con spessore eccessivo, ma di questo parlerò in seguito; oggi mi concentro sui problemi legati al ritiro. Quindi diciamo che il pezzo deve, in un certo senso, calzare bene l'ingobbio altrimenti questo tenderà a sfaldarsi o a screpolarsi. Vediamo cosa tenere d'occhio sia in fase di asciugatura che in cottura. Nelle considerazioni che seguono si parte dall’assunto che gli ingobbi hanno una componente argillosa importante, componente che, ovviamente, è la causa del suo ritiro. Ritiro in fase di asciugatura Se l’ingobbio si ritira più dell'argilla che riveste sviluppa crepe e tende sfaldarsi producendo scagliette che arricciandosi si staccano dalle pareti di argilla. La soluzione, in questo caso, è quella di ridurre la quantità di argilla plastica e/o di sostituirne parte o tutta con argilla calcinata. L'argilla calcinata ha già perso la sua componente carboniosa (se presente) ed ha già scontato il ritiro in cottura. Inoltre, può essere utile l’utilizzo di un deflocculante. Se, invece, l’ingobbio si ritira meno del corpo d’argilla allora tende a sfaldarsi, specialmente sui bordi e lungo gli spigoli vivi e le scaglie sono piatte. La soluzione, qui, è quella di aggiungere più argilla plastica riducendo o eliminando del tuto argilla calcinata eventualmente presente. In ogni caso bisogna tenere in mente alcuni concetti:
Nella foto sotto un esempio di ingobbio che si è ritirato di più dell'argilla con cui è fatta la ciotola: il le screpolature si sono prodotte sulle pareti e non lungo il bordo e le scagliette tendono ad incurvarsi. Ritiro in cottura
Lo sfaldamento dopo la cottura è causato da differenze di ritiro in cottura tra argilla e ingobbio. Per studiare, ed evitare questo difetto, bisogna tenere in mente che:
Alcuni tra gli aspetti funzionali e le caratteristiche fisiche, con particolare riferimento ad aderenza, sospensione e compattezza, possono essere gestiti intervenendo sulle componenti dell’ingobbio:
lavorabilità (da cui modalità di applicazione); aderenza prima della cottura; tempo di asciugatura (fino a raggiugere lo stesso contenuto d’acqua dell’argilla sottostante); spessore; capacità di mantenersi in sospensione durante la conservazione (proprietà flocculanti); tendenza a gelificare; compattezza; aderenza dopo la cottura vediamo come agiscono alcune componenti tipiche degli ingobbi e alcuni additivi: Componenti argillose: - agiscono da deflocculanti per le altre componenti non plastiche quali: fritte, feldspati, silicio; - favoriscono l’adesione alla superficie del pezzo sia a durezza cuoio che durezza osso; - rendono la superficie asciutta più compatta e quindi più resistente alla manipolazione (un rivestimento che risulti compatto dopo l’asciugatura sarà meno soggetto a sbavature quando il pezzo viene maneggiato rispetto a rivestimenti privi di coesione propria che danno superfici “polverose” e quindi instabili). Bentonite (e simili): - sono ottimi agenti di sospensione (ne bastano quantità dell’1-2% con effetti minimi sulle altre proprietà, in particolare rallentano il tempo di essiccatura e possono aumentare leggermente il ritiro). Caolino e ball clay - conferiscono migliore lavorabilità; - come le altre componenti argillose migliorano la compattezza; - incrementano notevolmente il ritiro. Silicio - conferiscono struttura all'ingobbir e lo rende più vicino nella composizione (e quindi nel comportamento) alle argille da rivestire; Gomme organiche (es. gomma arabica): - possono essere usate per migliorare la compattezza; - svolgono un’azione specifica sull’aderenza; - rallentano l’essiccamento; - possono produrre problemi di pinholing nello smalto (piccoli crateri come punure di spillo) se se ne usano quantità eccessive, a causa dei gas che generano in cottura. Fondenti vetrosi (ad esempio i feldspati): - favoriscono la fusione del composto; - aiutano la formazione di uno stretto legame tra il rivestimento e la superficie su cui esso è applicato (un rivestimento che ne sia privo può solo contare sulla capacità di aggrapparsi meccanicamente alle porosità della stessa superficie); - il principio, naturalmente, vale anche per l’argilla di cui è fatto il pezzo: se è vetrosa, può fornire la usa componente di fondente. Se né il rivestimento né l’argilla del pezzo sono vetrosi è fondamentale assicurarsi che abbiano lo stesso ritiro in cottura e la stessa espansione termica (anche piccole differenze di dilatazione/contrazione possono comprometterne il legame). Dell'espansione termica dirò in uno dei prossimi post sugli ingobbi. La verifica dell’integrità del rivestimento si fa picchiettando la superficie di un provino su cui è stato applicato e cotto uno strato di ingobbio piuttosto spesso. Il tema da affrontare, una volta deciso a cosa ci serve l'ingobbio che vogliamo usare, riguarda la compatibilità tra l'ingobbio e l'argilla su cui va applicato nonché tra ingobbio e smalto;
naturalmente la compatibilità deve essere garantita in tutte le fasi del processo: in asciugatura, in cottura e sul pezzo finito. Partendo dal principio che ogni rivestimento ha uno specifico comportamento e perciò una modalità propria di adattamento alle argille sottostanti, in questa partita entrano in gioco anche fattori esterni quali: la fase di asciugatura (argilla a durezza cuoio o durezza osso); le tecniche di applicazione; la temperatura di cottura; la presenza o meno di smalti. In questo quadro generale, il problema chiave, per garantire la compatibilità rivestimento/argilla è il ritiro; differenze di ritiro tra il rivestimento e l'argilla sottostante, sia in fase di asciugatura che in cottura, possono produrre scollamenti o crepe, la soluzione risiede nel corretto bilanciamento degli elementi che compongono l'ingobbio. Per comporre un ingobbio adatto all'impasto argilloso da rivestire è necessario conoscere tutti i suoi componenti e le modalità con cui agiscono, in questo modo sarà possibile modificarne le proporzioni apportando quegli aggiustamenti che lo rendono adatto all'uso specifico. A chiusura di questa sorta di panoramica introduttiva, vediamo il più classico degli esempi, quello che, anche sul piano intuitivo, rappresenta la prima e più ovvia soluzione per produrre un semplicissimo rivestimento adatto a modificare il colore della superficie ceramica; si tratta dell'uso della stessa argilla con cui è stato realizzato il pezzo modificata con aggiunta di ossidi coloranti; ebbene, anche in questo caso si possono avere problemi di aderenza, infatti, mentre l'argilla del pezzo da rivestire si trova già a durezza cuoio o addirittura a secchezza osso ed ha, quindi, già scontato parte del ritiro, quella per il rivestimento si troverà necessariamente allo stato liquido e, a un contenuto d'acqua elevato, come abbiamo visto nella serie su asciugatura e cottura, corrisponde un elevato ritiro. Come dicevo, gli ingobbi hanno la funzione di modificare la natura della superficie dei pezzi in ceramica;
consentono, infatti, di cambiare il colore di un pezzo, oppure di decorarne la superficie con disegni policromi, come vedremo, gli ingobbi possono essere utilizzati come finitura oppure essere coperti da uno smalto, nel qual caso dobbiamo considerare l'interazione ingobbio/smalto; servono a modificare la tessitura superficiale rendendola più ruvida o più liscia di quella dell'argilla usata per realizzare il pezzo; consentono ulteriori motivi decorativi, ad esempio disegni o motivi realizzati rimuovendo parte dello strato di ingobbio in modo da riportare a vista il colore dell'argilla sottostante, naturalmente in questo caso argilla del pezzo e ingobbio devono avere colore differente; in altri casi questo rivestimento serve a migliorare le caratteristiche fisiche della superficie ceramica rendendola più resistente o durevole. Tanto per fare un esempio, tra i nostri smalti preferiti c'è lo jun questo smalto ha bisogno di un sottofondo ricco di silice, povero di allumina e con una percentuale di ossido di ferro compresa tra 2% (colore azzurro chiaro) e 8% (blu); il fatto è che non sempre abbiamo a disposizione un'argilla con queste caratteristiche, anzi, i grès che usiamo più frequentemente non hanno dato buoni risultati, la soluzione sta nel rivestimento della superficie con un ingobbio che ha le caratteristiche volute. Quindi il punto di partenza nella definizione del nostro ingobbio sta nella motivazione che ci spinge a utilizzarlo. Da qui in poi, per i prossimi post, cercherò di illustrare un metodo per arrivare a comporre un ingobbio; poi parlerò più in generale di ingobbi di uso comune; infine tratterò delle principali tecniche di applicazione. Devo precisare che gli esempi pratici faranno riferimento a ingobbi adatti alle alte temperature (cono 9 e 10), resta il fatto che i principi generali valgono sempre e adattarli a esigenze diverse è un utile esercizio. Il problema della definizione di un confine tra ingobbio e smalto, infine, è praticamente non risolvibile in modo univoco, in realtà esistono diversi modi di pensare e sembrano tutti supportati da buone ragioni, quindi devo pensarci su o ne scelgo uno oppure posso provare a tracciare un quadro di riferimento (è difficile in un campo così vasto) vediamo ho bisogno di studiare meglio la cosa e di pensarci un po' su. Ecco, sono alla fine del secondo post sul tema e mi sembra di non aver detto ancora nulla, probabilmente non è così probabilmente sto solo cercando di orientarmi. Riprendo uno degli argomenti andati perduti
mi spiace riproporre cose già dette del resto è seccante anche questa premessa, ormai però, come ho già spiegato in altre circostanze credo sia giusto avere a disposizione sul blog (e poi sul sito, quando avrò sistemato il Glossario) gli argomenti tecnici di base. Quindi riprendo e ripropongo , da oggi, la serie sugli ingobbì. Premesse l'ingobbio (engobes in inglese) è un rivestimento a base di argilla che si applica sulla superficie dei pezzi in varie fasi della lavorazione - come vedremo - principalmente per motivi decorativi. Con gli ingobbì, infatti, è possibile modificare il colore della superficie del pezzo e di conseguenza, il colore dello smalto eventualmente sovrapposto consentono tecniche decorative come quella dell'incisione modificano la struttura superficiale (la texture) o sarebbe meglio dire la tessitura superficiale consentendo, così, non solo interventi decorativi ma anche funzionali; insomma, come cercherò di spiegare, sono uno strumento molto importante nella produzione ceramica. E' un argomento complesso ed articolato che perciò non sono in grado di sviscerare ed esaurire mi limiterò, come al solito, a quello che ho imparato e che, forse, ho capito. Chiudo questa premessa chiarendo una questione linguistica; spesso nei testi in lingua inglese si trova la parola slip ecco, la differenza tra slip ed engobes fondamentalmente sta nel fatto che la slip è praticamente l'argilla disciolta in acqua, diciamo che si avvicina a quella che chiamiamo barbottina pertanto ha un contenuto di argilla superiore agli engobes i quali, spesso contengono fondenti, quarzo, feldspati, diverse argille miscelate insomma, si tratta di impasti che si avvicinano, da una parte agli stessi impasti con coi sono realizzati i pezzi dall'atra, alla composizione degli smalti, tanto che il confine tra smalti e ingobbì non si può tracciare in maniera univoca e oggettiva. Ma di tutto ciò parlerò dalla prossima volta. Ieri ho detto che per quei pezzi sui quali proverò la cenere pura,
come simulazione dell'effetto generato sulle superfici in cottura nei grandi forni a legna, mi sembra il caso di utilizzare un ingobbio per il controllo del colore (finalità estetica); e che mi aiuti a limitare al minimo la porosità superficiale (finalità funzionale). Purtroppo non posso più fare riferimento a quanto scrissi sulla formulazione degli ingobbi; allora, prima di rimettermi a scrivere quello che so sull'argomento, dirò qui lo stretto necessario al tema di oggi. Quindi: perché sia un vero ingobbio diciamo che la quantità di argille deve essere almeno il 40 - 50% della composizione complessiva; poi serve un fondente, per favorire la vetrificazione necessaria ad una buona adesione ingobbio/superfice del pezzo; quindi un po' di silicio, diciamo un 10 - 15% che conferisce durezza al rivestimento; infine c'è la componente con funzione di colorante. In letteratura c'è un ingobbio che ha queste caratteristiche ed è noto come ingobbio vetroso; il nome è dovuto, ovviamente, alla presenza di elementi in grado di vetrificare. Proverò qui una formulazione terrosa di questo ingobbio che più o meno sarò composta da: Caolino 30% Ball clay 30% Feldspato 22% Silicio 12% Ocra gialla 6% Oltre a questo ingobbio, proverò un altro rivestimento a base di roccia vulcanica. In particolare: il peperino di marino, una roccia effusiva tipica dei Castelli Romani. Probabilmente dovrò miscelarla con un po' di grès (lo stesso con cui sono fatti i pezzi da rivestire) poiché, la roccia vulcanica macinata, si presenta come una polvere che aderisce con difficoltà alle superfici da ingobbiate. Sulla roccia vulcanica, come i tufi o le pozzolane, dovrò fare un discorso a parte. Lo farò presto. |
AutoriVesuvioLab Archivio
Ottobre 2023
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