Riprendo uno degli argomenti andati perduti
mi spiace riproporre cose già dette del resto è seccante anche questa premessa, ormai però, come ho già spiegato in altre circostanze credo sia giusto avere a disposizione sul blog (e poi sul sito, quando avrò sistemato il Glossario) gli argomenti tecnici di base. Quindi riprendo e ripropongo , da oggi, la serie sugli ingobbì. Premesse l'ingobbio (engobes in inglese) è un rivestimento a base di argilla che si applica sulla superficie dei pezzi in varie fasi della lavorazione - come vedremo - principalmente per motivi decorativi. Con gli ingobbì, infatti, è possibile modificare il colore della superficie del pezzo e di conseguenza, il colore dello smalto eventualmente sovrapposto consentono tecniche decorative come quella dell'incisione modificano la struttura superficiale (la texture) o sarebbe meglio dire la tessitura superficiale consentendo, così, non solo interventi decorativi ma anche funzionali; insomma, come cercherò di spiegare, sono uno strumento molto importante nella produzione ceramica. E' un argomento complesso ed articolato che perciò non sono in grado di sviscerare ed esaurire mi limiterò, come al solito, a quello che ho imparato e che, forse, ho capito. Chiudo questa premessa chiarendo una questione linguistica; spesso nei testi in lingua inglese si trova la parola slip ecco, la differenza tra slip ed engobes fondamentalmente sta nel fatto che la slip è praticamente l'argilla disciolta in acqua, diciamo che si avvicina a quella che chiamiamo barbottina pertanto ha un contenuto di argilla superiore agli engobes i quali, spesso contengono fondenti, quarzo, feldspati, diverse argille miscelate insomma, si tratta di impasti che si avvicinano, da una parte agli stessi impasti con coi sono realizzati i pezzi dall'atra, alla composizione degli smalti, tanto che il confine tra smalti e ingobbì non si può tracciare in maniera univoca e oggettiva. Ma di tutto ciò parlerò dalla prossima volta.
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Ho ritirato i pezzi biscottati Li sto esaminando C'è qualche cosa che ancora non avevo censito qui nel blog come questa coppia di ciotole Le abbiamo preparate per una coppia di amici
quindi, probabilmente, non rientreranno nella sperimentazione sugli smalti originari a base di cenere vediamo pensavo ad un celadon ma non ho ancora deciso purtroppo ho ancora tempo per farlo «Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: "Salve, ragazzi. Com'è l'acqua?" I due pesci giovani nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa "Che cavolo è l'acqua?"».
David Foster Wallace Solo per dire che i periodi di (forzata) inattività anche se possono sembrare effetto di cause esterne (anche se sono effetto di cause esterne) consentono uno sguardo più distaccato su ciò che sto facendo come se il lavoro che vedo sviluppato qui sul blog o nei pezzi in lavorazione sia il lavoro di un altro e questo aiuta perché puntato sul lavoro mi capita di non vedere quello che ho intorno. Prima di procedere con la descrizione degli smalti
credo sia necessario dire due parole sul feldspato perché, almeno in Giappone, sembra che l'introduzione di questo materiale abbia prodotto un importante salto in avanti nella produzione degli smalti. Ho dovuto fare quell'inciso sul Giappone perché in Cina le cose almeno dal punto di vista storico, appaino più complesse; c'è tutta un'ampia categoria di antichi smalti cinesi che furono catalogati come "feldspatici" che però sottoposti ad analisi chimica con tecniche moderne si sono rivelati di natura diversa oggi si pensa che, in realtà, siano composti da roccia silicea e cenere. Ma torniamo al feldspato Phil Rogers lo considera il "corpo" dello smalto mentre la cenere sarebbe il "carattere" visto che il primo è stabile, costante nei risultati e consistente al contrario della cenere che ha un carattere piuttosto variabile. La fortuna del feldspato, quindi, si direbbe che sia dovuta a diversi fattori il primo, è proprio quello a cui ho appena fatto riferimento: si comporta sempre allo stesso modo, non riserva sorprese; il secondo riguarda la possibilità che offre di produrre smalti trasparenti, compatti, lucidi, vetrosi uno smalto vero e proprio i vantaggi, rispetto ai primi smalti di cenere o di cenere/argilla sono evidenti il rivestimento vetroso e trasparente o semi-trasparente consente nuove possibilità decorative come i disegni ad ossido sopra e sotto smalto; inoltre, è di facile reperibilità; ottimo alle temperature da gres insomma, gli smalti feldspatici già nel XVI secolo, praticamente appena introdotti in Giappone, sono diventati i grandi protagonisti della produzione ceramica di quel paese; tutto ciò rende il feldspato il principale componente degli smalti ad alta temperatura. Il feldspato è un prodotto della decomposizione delle rocce ignee contiene silicio e allumina oltre ad alcuni alcali generalmente la tipologia di alcali distingue i vari feldspati ne esistono circa venti tipi differenti per i ceramisti, quelli fondamentali sono due l'ortoclasio o feldspato di potassio K2O.AL2O3.6SiO2 l'albite o feldspato di sodio Na2O.AL2O3.6SiO2 bisogna dire che gli alcali contenuti nei feldspati a differenza di quelli che sono nella cenere non sono solubili; in generale feldspati di potassio e di sodio si comportano in maniera molto simile e si possono considerare quasi intercambiabili il feldspato di sodio fonde a temperature di 1100°C - 1150°C e può essere volatile oltre i 1200°C, tende a fornire smalti un po' più trasparenti; il feldspato di potassio fonde oltre i 1200°C e risulta generalmente più viscoso e opaco; spesso i feldspati contengono sia sodio che potassio e vengono classificati in funzione di quello prevalente; ovviamente, meno è raffinato e più saranno le impurità presenti; i feldspati sono estratti in molte zone in tutto il mondo e ogni cava ha le proprie caratteristiche peculiari, per quelli che sono i nostri usi è, comunque, sufficiente distinguere ortoclasio e albite; quando nelle ricette, soprattutto di derivazione anglosassone o giapponese, si parla genericamente di feldspato, generalmente ci si riferisce a feldspati di potassio; dato l'alto contenuto di allumina gli smalti contenenti feldspati non hanno la tendenti a colare, almeno fino ai 1300°C; la composizione dei feldspati è molto vicina a quella degli smalti per le alte temperature infatti, c'è dentro il silicio come vetrificante l'allumina come stabilizzante e gli alcali come fondenti nei prossimi post vedremo che, in effetti, si possono realizzare - e storicamente si sono realizzati - smalti con feldspati quasi puri solo con piccoli aggiustamenti. Oltre ai due feldspati di cui sopra ci sono diversi materiali, simili chimicamente ad essi, spesso presenti nelle ricette degli smalti si tratta di felspatoidi e siccome alla categoria appartengono pezzi grossi come la cornish stone e la nefelina sienite sarà meglio dedicare ad essi un post a parte. Con questo capitolo chiudo, almeno per adesso, il ciclo sulla monocottura;
ci tornerò la prossima volta che ci capiterà di fare un'infornata a cottura singola provando a verificare quanto ho raccontato fin qui. Quindi, oggi i temi sono due: preparazione degli smalti e modalità di smaltatura. La preparazione, qui c'è poco da dire di più rispetto alle consuete procedure: miscela a secco dei componenti, diluizione in acqua, passaggio a setaccio; se, però, si volesse aggiunta la bentonite (post del 5 dicembre scorso) allora bisogna fare attenzione perché si possono formare dei piccoli fiocchi o filamenti grigi in sospensione sulla superficie dello smalto, per evitare questo problema si può operare in vari modi: - se lo smalto è ancora da preparare, allora conviene aggiungere anche la bentonite a secco prima di diluire il tutto in acqua; - se lo smalto è già pronto ma non c'è dentro la bentonite, allora, prima di aggiungerla conviene trattarla separatamente tenendola in ammollo in acqua per alcune ore, oppure, in alternativa, se non c'è tempo per aspettare che la bentonite si idrati, è possibile mescolarla in poca acqua con un minipimer. Infine, ripeto quanto già detto, la cosa principale è il contenuto d'acqua; perché l'argilla del pezzo assorba in fase di smaltatura la minor quantità d'acqua è importante che lo smalto sia denso, più denso possibile, compatibilmente con le modalità di applicazione e con lo spessore voluto; sicuramente più denso di quanto non sia quando, lo stesso smalto, è applicato sui biscotto. L'applicazione, in generale può avvenire in tutti i modi consueti: per immersione, versando lo smalto sul pezzo, a pennello, a spray; ho già parlato del momento per smaltare, se lo si fa a durezza cuoio è bene non anticipare troppo; lo spessore dipende dalle esigenze ed è condizionato dalle modalità di applicazione, è chiaro che la tecnica a spray consente l'applicazione di strati molto sottili che possono essere sovrapposti senza grossi problemi anche perché si asciugano rapidamente; l'immersione credo sia il modo più rischioso perché il pezzo appena smaltato assorbe acqua e diventa fragile, inoltre è più difficile controllare lo spessore; l'applicazione a pennello è una via di mezzo e, con un po' di pratica, consente più o meno le stesse cose dello spray. Quando dico, con un po' di pratica, non mi riferisco tanto alla mano che usa il pennello quanto a quella che intanto maneggia il pezzo. Per quanto riguarda lo spessore, poiché, molto spesso, gli smalti da monocottura contengono quantità importanti di componente argillosa (caolino, bentonite, terracotta, ball clay, ecc) lo spessore dello smalto umido può apparire maggiore di quanto realmente non sia a causa della tendenza delle argille a rigonfiare quando è imbevuta d'acqua. Infine, ripeto uno dei concetti principali della smaltatura di pezzi ancora crudi: smaltare un lato (interno/esterno) alla volta e aspettare che si asciughino completamente, parete del pezzo e smalto, prima di smaltare l'altro lato. Detto ciò, se qualcuno, avendo provato la monocottura o lavorandoci abitualmente, volesse condividere la propria esperienza può scrivere e raccontare. Sto pensando di preparare un album che raccolga le schede dei pezzi in qualche modo rappresentativi della nostra produzione; qualcosa da far vedere a chi voglia sapere cosa facciamo e come lo facciamo. Non so bene come impostarlo, è chiaro che dipende da chi poi lo dovrà aprire, non so quanto indugiare su questioni tecniche o se dedicarmi di più agli spetti descrittivi. Dovrò fare qualche simulazione. Vediamo L'idea o il progettoLa realizzazione del corpoSmaltatura e II fuoco
Prima di passare a smalti più strutturati
chiudo la serie degli smalti originari quelli dalla formula di base con soli due componenti. Come dicevo negli scorsi post quando in oriente si è presa coscienza della proprietà della cenere di produrre una patina vetrosa sulla superficie dei pezzi e si è capito che, con aggiunta di un materiale più refrattario, si evitava il problema delle colature è iniziata una lunga sperimentazione il materiale miscelato alla cenere ha preso forme e proporzioni differenti nelle varie regioni e nelle diverse epoche chi ha usato la stessa argilla con cui erano realizzati i pezzi chi argilla più fondente chi roccia macinata, che poteva essere cenere vulcanica, roccia silicea, roccia feldspatica o calcare. Già la volta scorsa, con l'irabo, ho introdotto uno dei classici di questo genere forse lo smalto più conosciuto oggi vediamo qualche altro esempio tenendo conto che è inutile fare riferimento alle argille o alle rocce cinesi o giapponesi o coreane vediamo direttamente quelli che sono i sostituti e poi presento uno dei nostri esperimenti. Tipo irabo: Cenere di legna 80 - 50 Argilla refrattaria (es. caolino di Tolfa) 20 - 50 Il tea dust di B. Leach: Cenere di legna 50 Ocra gialla 50 Celadon ash di J. Jelfs: Cenere di legna 50 Feldspato Na 50 A propositi di feldspato, poi ne parlerò nel dettaglio, ma i primi smalti detti shino erano a base di feldspato e cenere, probabilmente il feldspato non era puro e oggi lo ricostruiamo con feldspato e caolino, però vorrei provare una formula del genere: Cenere di legna 20 Feldspato K 80 Nuka originario: Cenere di legna 50 Cenere di crusca di riso 50 La cenere di crusca di riso si può sostituire con la cenere di paglia o direttamente con il quarzo. Infine la cenere di legna si può miscelare con roccia macinata. Io ho sperimentato il Peperino di Marino, una roccia vulcanica effusiva dai Colli Albani (a sud di Roma). Il Giappone è ricchissimo di roccia vulcanica. Ci sono 4 provini a due componenti (cenere/peperino) più 2 con un terzo elemento. I due provini a tre componenti servono come punto di partenza per studiare smalti più strutturati e, quindi, aprono la strada a futuri sviluppi. I provini sono tutti in argilla refrattaria, privi di ingobbio. La cenere è di legna di quercia, lavata. Cottura a cono 9 in riduzione. nei post sulla monocottura
parlando della preparazione degli smalti adatti a questo processo ho accennato alle esperienze di Steven Hill il quale, nella sua personale ricerca durata oltre venti anni, ha tentato si sfatare la comune credenza che vuole per gli smalti da monocottura un contenuto di argilla importante, fino al 30% del totale; Steven Hill, che lavora smaltando pezzi a secchezza osso, è arrivato a comporre smalti con un contenuto di argilla tra il 5% e il 10% l'unica accortezza di cui riferisce, è l'uso di un particolare additivo: la bentonite in quantità pari al 2% o 3%. Questo materiale, appartenente alla famiglia delle argille, è un prodotto della decomposizione delle ceneri vulcaniche ha una composizione chimica simile alle altre argille (un allumino-silicato di magnesio con sodio) ma presenta proprietà fisiche differenti che ne impediscono lo stesso utilizzo a causa: - della forte tendenza a rigonfiare quando viene a contatto con l'acqua; - della peculiare proprietà a virare alla consistenza di gel; - della forte vischiosità; - del ritiro notevole in fase di asciugatura. La bentonite, quindi, è generalmente utilizzata per incrementare la plasticità degli impasti argillosi per questa funzione è sufficiente aggiungere quantità di bentonite pari a 1% o 2% del totale quantità analoghe sono utilizzate negli smalti come agente di sospensione per rallentare la sedimentazione delle particelle più pesanti. La bentonite andrebbe introdotta agli altri componenti dello smalto quando sono allo stato secco, prima dell'aggiunta dell'acqua, altrimenti non si miscela correttamente. Tornando agli smalti da monocottura l'aggiunta di quantità di bentonite variabili da 1% a 6% rende praticamente qualsiasi smalto adatto alla monocottura anche per smaltare pezzi a durezza cuoio data la tendenza ad incrementare il ritiro infatti, gli smalti che contengono poca argilla, possono meglio adattarsi al ritiro dell'argilla del pezzo fino alla fase di secchezza osso; naturalmente risulta utile la proprietà di agente di sospensione soprattutto in fase di applicazione; inoltre, conferisce resistenza allo strato di smalto una volta essiccato sul pezzo. La bentonite non modifica in maniera sensibile la superficie dello smalto una volta cotto e ha effetti piuttosto limitati sul colore. C'è un tema
tra quelli persi che ho voglia di riprendere perché rappresenta, nel mio lavoro, un modo per orientarmi nelle scelte. Si tratta di quella distinzione secondo me oggettiva tra disegno e materia tra oggetti (ovviamente parliamo di ceramica) realizzati facendo risaltare una figura, come fosse la rappresentazione tridimensionale di un idea e oggetti piegati alle ragioni della materia di cui sono fatti. Sembra che l'unico elemento in comune e non è poco sia la funzione ma su questo aspetto ci tornerò poi, per adesso diamola per scontata. Per spiegami meglio, già allora, avevo proposto le foto di due pezzi che abbiamo a casa le ripropongo perché continuo a pensare che siano esplicative. La tazzina cinese è un oggetto leggero, sottile talmente sottile da lasciar passare la luce la materia con cui è realizzata, porcellana bianca, si direbbe un mero supporto per i motivi decorativi bere un caffè da questa tazza è come farlo direttamente dal disegno dipinto a smalto sull'esterno; la tazza in gres, invece, sembra ricavata con il minor numero possibile di colpi da un blocco di argilla un dito dentro per aprire la coppa e qualche taglio di stecca all'esterno per sagomare il piede il resto lo fa la materia. E' chiaro che la tazzina è porcellana così come la tazza di grès presenta forma e disegno però, la prima è replicabile infatti fa parte di un servizio da sei pezzi identici, la tazza è un pezzo unico e non avrebbe senso replicarla. Naturalmente si tratta di due estremi nel mezzo c'è tutto il resto, nel decidere cosa fare, quando inizio un nuovo lavoro, mi rendo conto che tendo a muovermi lungo l'asse che collega i due poli. Generalmente mi tengo sempre più vicino al campo della materia ma mi avvicino o mi allontano dall'estremo cercando di scegliere consapevolmente il punto di equilibrio tra materia e disegno. Qualche volta va bene, altre volte tradisco le aspettative ma questo è un altro paio di maniche. Riporto una citazione di Shoji Hamada
a me sembra piuttosto significativa fare ceramica non dovrebbe essere come scalare una montagna; dovrebbe essere come scendere già da una collina con una piacevole brezza tempo fa avrei detto che si tratta di un'idea tipicamente orientale di interpretare il lavoro oggi credo che questa affermazione abbia un valore universale a patto, naturalmente, di accettare il fatto che dietro la leggerezza del gesto ci sia tutta la fatica per assimilare quel gesto. |
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