Il ProgettoContinuo a chiamarlo Irabo;
Irabo è il termine giapponese che indica un particolare tipo di smalto da ceramica composto solo da cenere di legna e argilla; ne ho già parlato QUI e QUI; quindi si tratta di un proto-smalto; proto: dal greco πρωτος (protos): il primo; con questa semplice miscela… con l’aggiunta di argilla alla cenere di legna, di cui si era intuita la funzione vetrificante e coprente, inizia, molto probabilmente, la piena consapevolezza dell’uso del rivestimento smaltante in ceramica. L’argilla serve per stabilizzare la cenere che altrimenti, alle alte temperature, colerebbe. Alcune volte è così: quattro righe per spiegare diversi secoli di lavoro, studio, sperimentazioni, prove, fallimenti, intuizioni, errori, incidenti fortuiti. Poi la conoscenza si mette in viaggio: prima i cinesi, poi i coreani, infine i giapponesi; ognuno con la propria sensibilità, cultura e, soprattutto, con i materiali a disposizione. Questa è la storia. Molto dopo, in epoca moderna, con alle spalle l’evoluzione millenaria dell’uso degli smalti, ogni tanto qualcuno ricomincia da qui: dal proto-smalto; dalla miscela di argilla e cenere di legna. Oggi, però, nel bagaglio del ceramista ci sono conoscenze di chimica, di fisica e di mineralogia, oltre alla possibilità di approvvigionarsi di materiali prodotti industrialmente o provenienti da posti diversi e lontani. Le possibilità sono maggiori, ma questo non ci rende migliori, sicuramente abbiamo perso la sensibilità nel trattare i materiali che abbiamo tra le mani; è un concetto generale, anche il fuochista, per esempio, oggi dispone di computer che controllano la cottura, di pirometri e tutta la strumentazione per la regolazione del fuoco ma pochi o nessuno saprebbe dedurre la temperatura dal colore della luce nel forno. Nozioni e tecnica da un parte; sensibilità dall'altra: è così? c'è un equilibrio da ricercare tra queste diverse facoltà? Le maggiori conoscenze e la strumentazione sofisticata ci devono rendere più responsabili. Recuperare tecniche antiche non vuol dire rifiutare l'ampio contenuto del nostro bagaglio ma, al contrario, ci mette nelle condizioni di operare consapevolmente attingendo alle conoscenze che scienza e tecnica ci mettono a disposizione... affinando così la nostra sensibilità. Ne ho già parlato; ne parlerò ancora; è un tema centrale della nostra epoca. Sono partito dalla formulazione che prevede l’uso di terracotta, quindi di un’argilla fusibile, in rapporto 50/50 con la cenere di legna lavata. Non sono certo dell’origine di tale formulazione: cinese? coreana? immagino che la prima, la proto-formula, fosse diversa; probabilmente prevedeva l’uso di gres, cioè della stessa materia usata per foggiare il corpo dei pezzi da rivestire; così come la cenere, molto probabilmente, non era lavata. Ecco che con due semplici ingredienti si è già aperto un ampio ventaglio di possibilità; poi ci sono da considerare l’effetto dello spessore di questo smalto e l’interazione con l’argilla sottostante. Procedo modificando un parametro alla volta. Allora, tenendo a mente il tema dell’infornata di maggio: l’Autunno, vediamo come ho declinato il mio proto-smalto.
Annoto sul diario la necessità di riprendere la sperimentazione con la cenere vulcanica, sia miscelata con la cenere di legna, al posto della terracotta, che viceversa. Nel secondo caso uscendo dalla categoria irabo. Forse anche il primo caso è fuori ma trovo la cosa irrilevante. Ciotola A Qui ho usato lo stesso smalto sul medesimo gres del corpo usati per i pezzi del post richiamato sopra (“Irabo” del 8/3/2019). Anche su questo pezzo ho dato schizzi di iron stain. È chiaro, che quello che cambia, tra questa ciotola e quelle del post di marzo, è lo spessore dello smalto; qui c'è solo una pallida e piatta colatura verdastra, lì le colature hanno corpo e spessore e caratterizzano, definendolo, tutto il rivestimento. A pensarci bene anche lo smalto… qui la cenere usata è di legno di pino, nell’altro caso era di quercia. Per adesso, però, penso di più allo spessore; questo vuol dire che seguiranno prove con spessori maggiorati. Comunque devo ricordarmi di riprovare con la cenere di quercia. Il risultato è una ciotola dall’aspetto un po’ troppo arido, con poca profondità nel colore e priva di elementi decorativi che, risaltando, prendano rilevanza. Ciotola BLo smalto è lo stesso di prima, pure sul medesimo gres bianco e con gli schizzi di iron stain, ma con aggiunta di diossido di titanio puro in ragione del 2%; in progetto pensavo di metterne meno, l'1%. Diossido: il suffisso di-dal greco δις (dis) che significa due, doppio; equivalente del latino bis, quindi è come dire biossido; due atomi di ossigeno e uno di titano: TiO2. Qui l’ossido è puro, una polvere bianca. Il titanio tende a far virare il colore verso i toni del giallo. Ciotola CAncora stesso smalto e stesso gres bianco stessi schizzi, ma con aggiunta nello smalto di Rutilo in ragione del 5%; Il rutilo è… biossido di titanio. Non mi è ancora chiara la differenza con il biossido di titanio puro. Il rutilo si presenta come una polvere marrocina. Probabilmente, essendo un minerale naturale e non estratto chimicamente contiene delle impurità. Qui è difficile cogliere le differenze tra i due smalti perché la percentuale di biossido di titanio introdotta nella ciotola B è meno della metà di quella del rutilo nello smalto C. Insomma, devo approfondire.
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Il ProgettoLe ciotole di quest'infornata nascono così. Un disegno e qualche appunto sui materiali sugli smalti da usare. Qui, come ho detto in un post precedente, il tema era l'autunno.
Complessivamente li trovo due pezzi riusciti. Avrei preferito che venissero fuori chiazze di verde e giallo ma, tutto sommato, vanno bene anche così. La prima - interno nukaLa seconda - interno junPer lo smalto di fondo il riferimento è il post Da Tian Mu a Tolfa del 12 febbraio scorso.
Ci potete andare direttamente cliccando sul tasto qui sotto. Venerdì prossimo, su invito del laboratorio Terracromata, terrò una presentazione del mio lavoro.
Chi fosse interessato è pregato di chiamare il laboratorio al numero indicato in locandina. Ecco, ho aperto il forno. L'ho fatto venerdì scorso, sotto l'ennesima pioggia di questo maggio quasi autunnale; oggi c'è il sole, finalmente primavera matura. Ho disposto tutte le ciotole sul tavolo e ho iniziato a guardarle; ho già detto, nel post precedente, che si trattava di un'infornata sperimentale e che, in più, avevo bisogno di tirare fuori una ciotola per una mostra (che purtroppo è stata annullata). Il tema della mostra erano le stagioni; io avevo scelto l'Autunno: nella forma e nei colori. Quindi cerco da tutte queste ciotole nuove indicazioni di lavoro e una sola che rappresenti l'Autunno. Allora, disposti i pezzi in modo che possa vederli tutti, presi in mano uno ad uno, confrontandoli con le schede che preparo durante il lavoro, ne trovo di belli e di meno belli (non vorrei dire brutti ma credo che alcuni lo siano). Ci sono cose interessanti, che aprono nuovi percorsi e altri risultati, come dire... anonimi, senza futuro. Naturalmente non c'è alcuna corrispondenza tra i pezzi di bell'aspetto e le risposte interessanti ai nuovi esperimenti e viceversa (una ciotole può essere veramente poco interessante o attraente eppure ricca di suggerimenti per il mio lavoro). Insomma, c'è materiale su cui lavorare e nei prossimi post presenterò la parte per me interessante di questo lavoro. Intanto voglio fare una premessa, il vero oggetto di questo post. Il lavoro preparatorio per questa infornata è stato caratterizzato da una prassi progettuale ancora più spinta di quanto già fatto fin qui. A differenza di quanto ho visto fare ai giapponesi, quelli del '900 a cui spesso faccio riferimento, che hanno una modalità che vede nel gesto - il modo di dare uno smalto o una semplice pennellata di ossido di ferro per riprodurre un disegno stilizzato - la sua essenza. Hamada ripeteva continuamente lo stesso disegno fino ad interiorizzarlo, al punto che la mano sembrava agire autonomamente. I giapponesi hanno alle spalle la filosofia zen. Io no. Credo che questo vada considerato. Io ho studiato ingegneria. Appartengo a una cultura diversa. Io ho imparato a progettare. Questo vuol dire che all'idea segue uno studio volto a definire le possibilità e i modi di eseguirla. Il progetto è quel processo che sta tra l'intenzione e la realizzazione. La forma mentale è questa. Qui sotto c'è la foto del foglio sul quale ho appuntato le forme delle ciotole che ho pensato, via via di realizzare: la parabola, la "S" (di cui ne ho fatta solo una), la squadrata, la bacinella, la coppetta deformata. Inoltre c'è il programma temporale, il cronoprogramma, delle ultime tre settimane per arrivare pronto ala cottura del 25 maggio. Nella foto di copertina ci sono tutti i fogli del progetto dispiegati sul pavimento.
Non credo sia utile soffermarsi sulla qualità degli elaborati. Quello che mi interessa dire riguarda il loro contenuto, il fatto di ripensare il mio processo creativo dilatando l'importanza di quella parte di lavoro che si fa a tavolino, con le mani pulite e che detta l'azione al me ceramista in laboratorio: al tornio; agli smalti. Sarebbe divertente scambiarsi i progetti con altri ceramisti per vedere che effetto fa eseguire un lavoro pensato da un altro... chissà. Nei prossimi post presenterò alcune ciotole insieme al lavoro preparatorio. Intanto qui sotto un esempio. |
AutoriVesuvioLab Archivio
Ottobre 2023
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