Ancora non entriamo nel vivo della sperimentazione;
pigro! proseguo con le cose facili; una tazza foggiata a pizzico con grilla refrattaria, rivestita con tenmoku tipo Karatsu con terra di Tolfa (TKTG) su cui è sovrapposto smalto jun che cola sulle pareti sia dentro che fuori. Lo jun su superfici ricche di ferro smette di essere jun e vira sul blu. E' un effetto cromatico che a me piace.
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Ancora dal forno del 1 maggio scorso. Questa è una composizione che posso considerare consolidata: gres grigio, hakeme con ingobbio Hansen (vedi post "Ingobbi 8" del 26.2.2015); qualche schizzo di iron stain; smalto coreano sottile (vedi post "Ricostruzione di uno smalto" del 11.1.2015). Lo smalto avrebbe dovuto essere più sottile. Qui la sperimentazione sulla cenere entra nel vivo. 6 tazzine in gres chiaro (in cottura prende un colore grigio chiaro), prive di ingobbio, rivestite con cenere pura o smalti a base di cenere; gli spessori sono generalmente piuttosto sottili. Sto cercando la risposta di questo materiale, da solo o combinato con altri e per farlo è necessario fissare le stesse condizioni. Devo avvertire, come già accaduto altre volte, che i colori in foto sono migliori, più vivi direi, di quanto non sia dal vero. Le foto spesso regalano qualcosa. Altra nota iniziale, valida per tutte, riguarda un effetto lucido sul bordo che contrasta con l'aspetto generalmente più arido di questi rivestimenti; si tratta di una pennellata di tenmoku, leggera e sottile. La N 1 e la N 2 sono rivestite di cenere pura, si tratta di cenere di legna di camino (quindi è un misto ma credo prevalga la quercia). La cenere di una è lavata, l'altra no; purtroppo non l'ho scritto subito e l'informazione ormai è andata. Errore! Non ci sono grosse sorprese, all'interno, lo spessore maggiore ha prodotto le tipiche colature, le parti migliori sono quelle, soprattutto all'esterno, dove gli spessori sottili lasciano chiazze rossastre. La cenere pura, per i miei gusti, va data in spessori sottilissimi, appena un velo. In generale, quindi, si adatta meglio al grès che, vetrificando, è un materiale impermeabile; lo smalto di cenere, infatti, soprattutto se sottile, non è in grado di rendere impermeabile un materiale poroso. Sulla N 3 e sulla N 4 c'è la sovrapposizione di smalto coreano su dry yellow ochre; smalto lucido a base di cenere su smalto arido sempre a base di cenere. il dry yellow ochre, come dice il suo nome è un rivestimento arido, quasi terroso e, a dispetto del suo nome, se lo spessore è sottile, prende un bel colore rosso-bruno. L'idea era quella di rendere più lucida la base del d.y.o. aggiungendo sopra un velo di coreano. Idea ingenua, a quanto pare. Le sovrapposizioni creano quasi sempre un prodotto che differisce, in modo più o meno consistente, dagli smalti che le compongono. La N 5 e la N 6 sono rivestite con uno smalto a base di cenere e polvere di peperino (roccia vulcanica, sul genere delle pozzolana e dei tufi, per capirsi) 50/50 con un'aggiunta di circa un 10% di caolino che serve per stabilizzare un po'. Su questa combinazione ho già scritto nel post del 6 dicembre 2014, quello che è interessante è la risposta diversa che lo smalto da su una base differente: lì infatti rivestiva provini fatti di refrattaria rossa, qui, invece, è su grès grigio chiaro; la differenza è significativa. Prima di entrare nel vivo della sperimentazione tratto ancora un po’ i pezzi rivestiti con smalti già consolidati; qui c’è una coppia di tazzine: argilla refrattaria rosso chiaro base di TKTG (Tenmoku alla maniera di Karatsu con Terra Gialla di Tolfa) colore rosso-bruno aspetto più arido; patina sottile all’interno e inserti all’esterno di Black Tenmoku ricostruito: colore ovviamente nero, aspetto più lucido; gocce di Tea Dust Tenmoku, sia dentro che fuori. L’aspetto interessante è nel confronto con un piatto cotto l’anno scorso rivestito con la stessa sequenza di smalti, anche l’argilla era la stessa e, se non ricordo male… No, non ricordo male, il piatto occupava nel forno la stessa posizione delle tazzine: più o meno al centro del piano più basso. Ora, al netto delle inevitabili differenze sulla resa fotografica,
non ho eseguito gli scatti nelle stesse condizioni di luce, la differenza è evidente, dal vivo è un po' più sfumata, certo, ma resta il fatto che sul piatto prevalgono i toni scuri, marrone scuro, quasi nero, come bruciato... e i verdi, l'aspetto complessivo è piuttosto arido; le tazzine sono più lucide e hanno un bel colore rosso-bruno. Be', forse nella parola uscita fuori senza intenzione, quel bruciato che descrive il colore del piatto, può contenere la risposta. Comunque, sul piatto lo spessore dello smalto è più sottile. Non mi addentro in confronti su quale sia l'effetto migliore, a me piacciono entrambi. Qui conta di più capire perché sono differenti, e pensandoci, mi viene in mente che il piatto è stato cotto nell'infornata col carbone... ecco, probabilmente qui c'è la risposta. Probabilmente... Un forno sperimentale, come questo, si può dire riuscito se è in grado di fornire le informazioni richieste, non se produce bei pezzi.
E questo andava detto. Quindi, per la prima disamina, un pezzo facile: una coppia di ciotole, forse tra le poche cose non strettamente sperimentali, Una coppia di ciotole aperte, molto aperte; argilla refrattaria di colore rosso chiaro foggiata a pizzico; smalto nuka con inserto in tea dust tenmoku, si vede, all'interno, anche un alone definito da un bordo scuro, si tratta di una pennellata sottos-malto di iron stain, volevo verificare l'effetto coprente di questo smalto. Il nuka, all’esterno, ha perso il biancore ed è virato sul trasparente, credo sia un problema legato allo spessore e, forse, all’esposizione alla fiamma con conseguenti temperature molto elevate; ma propendo più per lo spessore. |
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