un'altra lastra o un altro vassoio da portata
la premessa è la stessa del post precedente e qui finiscono le similitudini. la texture superficiale è realizzata imprimendo un telo di canapa; c'è lo smalto di base che è un tenmoku molto arido caratterizzato da argilla di Tolfa, ricca di caolino, che ne costituisce la componente principale, rivestimento dato evitando una stesura uniforme ma lasciando chiazze scoperte e aree più scure per lo spessore maggiore; poi c'è la macchia di jun a sua volta sporcata da tea dust; dalla parte opposta il verde è dovuto a uno smalto a base di cenere di origine coreana (credo di averne già parlato); sul lato destro nella foto in alto, una venatura verdastra di dry yellow ochre; infine, più o meno al centro, uno schizzo di iron stain che attraversa il pezzo in tutta la sua lunghezza. insomma, una base molto semplice, la geometria elementare, il rivestimento di base uniforme dal colore bruno, terroso, discreto, decisamente poco appariscente; poi c'è tutto il contorno di elementi che inquinano la semplicità di base, che sporcano, che deviano l'attenzione... ecco, l'idea è quella di inserire elementi che concorrano a creare un insieme omogeneo ma al contempo ricco o quanto meno complesso, senza protagonismo.
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che poi non c'è molto da dire,
la difficoltà di apprezzare l'oggetto dalla foto non può essere superata dall'aggiunta di parole, comunque un vassoio o piatto da sushi o quello che vi pare; le dimensioni: 24x36 (cm) la texture a corda, gli smalti, quello che devono essere: lo jun dal colore più o meno intenso a seconda delle sovrapposizioni; il tenmoku terroso con le macchie di dry yellow ochre; il tea dust sulla linea di contatto tra il bruno e l'azzurro. insomma... ok, quello che doveva essere: una linea tra la terra e il mare, senza orizzonte, senza movimento; come dire: tutto fermo, nello spazio e nel tempo. Oppure solo una lastra di ceramica smaltata, sempre come vi pare. oggi avevo tra le mani un pezzo,
uno di quelli cotti nell'infornata del 30 aprile scorso, di quelli preparati per Open House. è vero, non ho scritto le consuete disamine sull'ultima infornata, confesso di non averne avuto voglia, succede, il fatto è che girando quest'oggetto tra le mani è accaduto un fatto: c'è che altre volte mi è capitato, osservando una ciotola, un piatto, fatti da me, di rivedere le mie mani mentre lo foggiano, o anche di ritornare al momento in cui l'ho rivestito, smaltato; oggi no, non proprio, oggi sulla superficie ruvida, grezza; sui bordi frastagliati e rotti; nella consistenza pesante e grossolana; nella decorazione solo abbozzata; in tutto questo ho rivisto le mie mani per quello che sono, come ritratte; in tutto questo c'è come vedo ora me stesso. non tragga in inganno la sequenza di aggettivi non proprio lusinghieri, mi piace questa ciotola, mi piace molto ma il punto non è questo, il punto è che mi rendo conto di quanto la realizzazione di un oggetto la si possa considerare riuscita quanto più esso è in grado di definire il suo artefice. lo so, è cosa ovvia, in via teorica lo sapevo già, volevo solo condividere un nuovo piano, direi emotivo, di comprensione di questo semplice concetto. |
AutoriVesuvioLab Archivio
Ottobre 2023
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