E' un oggetto piccolo diciamolo, quasi insignificante, eppure... si, piccolo lo è ma si porta appresso tanti significati, almeno per un appassionato di ceramica. Lo abbiamo comprato in un negozietto di Tokyo, trovato per caso nel quartiere di Yanaka, il negozietto vende solo prodotti realizzati a Onta e già qui si apre un capitolo, legato al luogo: Onta e a quel movimento,il mingei, che prima o poi dovrò affrontare; il manico ci ha colpiti, e in generale la foggia di tipo occidentale, è raro che la ceramica funzionale orientale abbia il manico, e tra i pezzi esposti, quasi tutti dalle forme tipiche giapponesi, c'erano qua e là pezzi come questo, chiediamo e il tipo del negozio ci spiega che l'uso del manico fu introdotto a Onta da Bernard Leach, e spunta la figura di Leach, che pure è legata strettamente al movimento mingei, ecco, come un'umile brocchetta abbia molto da raccontare. Spero, nel prossimo futuro, pur con la consueta superficialità, di poter svolgere un filo che raccordi alcuni dei fatti, delle persone e dei luoghi che si intravedono, racchiusi in una piccola forma di ceramica.
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La signora M. ci ha chiesto un set di ciotole da usare per servire pasta e zuppe.
In Giappone si usano dei ciotoloni piuttosto capienti per il ramen, la soba, insomma, per la loro pasta; si chiamano don'buri. La signora M. è giapponese. Quindi abbiamo pensato di preparare due pezzi di forma diversa, fatti con argille diverse e rivestiti in modo del tutto differente; così potrà scegliere, la signora M. la combinazione che preferisce. Si tratta di una piccola cortesia che facciamo volentieri a M. per l'affetto con cui ha sempre sostenuto il nostro lavoro. Qui le ciotole tornite appena rifinite, poi si tratterà di decidere se e quale ingobbiare, infine penseremo agli smalti. Il diametro della bocca è di circa 20 cm Al raggiungimento dell’ultimo passaggio della cottura, lo smalto è nella fase della piena fluidità e mobilità. Diversamente dall’argilla del corpo, fonde completamente e tutti gli ossidi si muovono quasi liberamente preparando la disposizione con una parvenza dell’ordine da assumere in fase di congelamento. In questo momento l’interazione tra corpo argilloso e smalto accelera formando un piano di interfaccia tra le due parti.
La chimica dello smalto e del corpo argilloso, la temperatura di maturazione e la durata di questa fase della cottura determinano la consistenza di questo piano di transizione. Nel grès ad esempio, cotto oltre i 1200°C il piano di transizione ha una consistenza molto maggiore di quella della terracotta tradizionale che viene cotta sotto i 1000°C. E' un fatto di cui ci si può facilmente rendere conto osservando stoviglie di terracotta che sono state maneggiate e utilizzate come normali stoviglie, quasi sempre presentano scrostature dello smalto sui bordi; normalmente ciò non accade col gres (tanto meno con la porcellana). Il grès, come tutti i prodotti ceramici, si può incrinare o rompere a causa di colpi, ma questo è un altro paio di maniche. La differenza tra i due materiali è proprio nella diversa consistenza dell'interfaccia argilla del corpo/smalto. Il grès, infatti, vetrifica ad un grado maggiore della terracotta e quindi si trova nelle condizioni di poter interagire con lo smalto in miniera molto più profonda; diciamo che c'è uno scambio di ossidi maggiore e, di conseguenza, lo spessore dell'area di interfaccia è più consistente di quanto non accada nella terracotta. Tornando agli smalti, la tensione superficiale e la fluidità ne determinano la capacità di distendersi sulla superficie coprendo piccole aree scoperte e la capacità di lasciar passare attraverso la forma fusa le bolle gassose provenienti dall’argilla del corpo. E' evidente che il fattore temporale è determinate anche qui; una maggiore durata della fase in cui lo smalto si trova allo stato fuso ne migliora l'omogeneità e aiuta a sviluppare una migliore interfaccia con il corpo. Il raffreddamento è parte integrante del processo di cottura dal momento che è in questa fase che si genera lo smalto così come lo vediamo. Mentre il corpo dell’argilla si struttura durante la salita della temperatura, è all’inizio del raffreddamento che si cementa questa nuova forma della materia. Nel caso più semplice il pezzo si raffredda, lo smalto solidifica come vetro ed è pronto. Ricordiamo, infatti che il vetro, dal punto di vista fisico, è un liquido a viscosità elevatissima e infatti non presenta alcuna struttura cristallina. Tuttavia, spesso avviene la formazione di cristalli ad un grado tanto più elevato quanto più il raffreddamento è lento, in funzione, ovviamente, della composizione chimica dello smalto che può incoraggiare più o meno l'innesco dei nuclei intorno ai quali crescono i cristalli. La crescita si manifesta proprio intorno alle temperature di congelamento che possono essere più basse di quanto si possa pensare. Alcuni smalti da gres possono assumere centinaia di configurazioni e la cristallizzazione continua fino all’arresto della mobilità delle molecole. Questo significa che bisogna avere la corretta consapevolezza del processo per essere in grado di intervenire nel caso di cristallizzazione non voluta (devetrificazione) modificando la composizione dello smalto (ad esempio aumentando l’allumina) oppure accelerando il raffreddamento nella fase critica. Mi rendo conto che quest'ultima parte richiede qualche approfondimento; la frase "spesso avviene la formazione di cristalli ... in funzione ... della composizione chimica dello smalto che può incoraggiare più o meno l'innesco dei nuclei intorno ai quali crescono i cristalli" apre immediatamente un quesito: quali sono le caratteristiche che favoriscono la formazione dei cristalli negli smalti? ecco, credo di dover approfondire la cosa per poterne parlare; pur con la consueta superficialità, ovviamente. mi guardo intorno
occhi bassi sul tavolato del patio qualche cosa mi dice che questa parte della casa sta diventando fuori sono sensazioni impercettibili ma piuttosto chiare quando entro dentro chiudo la porta a vetri dietro di me e sono dentro, appunto; succede così a settembre, si materializza il confine tra il dentro e il fuori, è il segnale che bisogna iniziare il raccolto: una foglia arrossata da riporre tra le pagine del quaderno, una foto nuova per il desktop, cose così, che poi servono quando arriva la pioggia La silice si può presentare in natura con diversi abiti cristallini detti fasi;
quindi, può assumere strutture cristalline differenti in funzione delle condizioni esterne (temperatura, pressione, durata del raffreddamento); la possibilità di cristallizare con diverse strutture si chiama polimorfismo; il composto SiO2, noto come silice, presenta ben 22 differenti fasi di cristallizzazione; la fase principale, la più diffusa in natura, è il quarzo, presente in abbondanza nelle rocce magmatiche acide (cioè ricche di silice), sia intrusive che effusive; poi vi sono le strutture della Tridimite e della Cristobalite che pure sono stabili a pressione atmosferica; infine la silice può trovarsi in fase non cristallina, presentando struttura amorfa tipica del vetro. Il passaggio da una fase all’altra è detto “conversione della silice”. La materia non deve necessariamente essere fusa per cambiare fase (tranne che per produrre il vetro, ovviamente). Per il cambio di fase è necessario solo un’elevata temperatura che fa aumentare la mobilità delle molecole assieme ad un adeguato intervallo di tempo e, in alcuni casi, elevate pressioni. Ognuna delle precedenti fasi cristalline ha due o più forme (alfa e beta, beta uno, ecc.); il quarzo presenta due forme: quarzo-α e quarzo-β, partendo dal magna in fase di raffreddamento, il quarzo inizialmente cristallizza nella forma quarzo-β, stabile a più alta temperatura; non appena la temperatura scende al di sotto dei 573°C, limite di stabilità tra le forme alfa e beta a pressione ambiente, avviene la trasformazione di tutto il quarzo-β in quarzo-α; questa trasformazione è reversibile e, perciò, il cambio che avviene durante il riscaldamento avviene in senso inverso durante il raffreddamento; queste variazioni sono dette “inversione del quarzo” e ad esse, purtroppo, sono spesso associate repentine variazioni del volume. In generale sono due le inversioni importanti, che bisogna conoscere a causa delle variazioni volumetriche che comportano durante il riscaldamento ed il raffreddamento: la prima è l'inversione del quarzo di cui sopra tra la forma alfa e la forma beta ed avviene, come detto, piuttosto rapidamente a 573°C provocando una leggera espansione, circa 1%, del reticolo cristallino; la seconda è l’inversione della cristobalite che avviene ai 226°C, ed è leggermente peggiore della precedente perché produce una repentina variazione del volume di circa il 2,5%. Comunque, mentre tutte le argille hanno una certa quantità di quarzo, non è vero altrettanto per la cristobalite e se non ce n'è nel corpo dell’argilla non ha senso parlare della sua inversione. La cristobalite si forma naturalmente e lentamente durante il raffreddamento a partire da cono 3 (conversione della silice) e si forma meglio se viene aggiunta in forma pura nell’argilla in modo da “seminare i cristalli” o in presenza di catalizzatori (es. il talco nella terraglia). E' chiaro, allora, che ci si deve preoccupare dell'inversione della cristobalite soprattutto per corpi argillosi che hanno già subito cotture ad alta temperatura (oltre cono 3); situazione piuttosto rara. Come già notato, le singole particelle di quarzo nell’argilla virano dalla forma alfa a quella beta e tornano indietro rispettivamente durante il riscaldamento e poi durante il raffreddamento alla temperatura di 573°C. È importante comprendere che questo passaggio fisico riguarda solo i singoli cristalli di quarzo e non tutto il corpo dell’argilla e nemmeno di tutto il silicio in esso contenuto. I problemi maggiori possono sorgere quando la matrice argillosa si presenta come solida massa vetrosa intorno ad ogni cristallo di quarzo; il rapido cambio di volume di quest’ultimo, infatti, può facilmente essere causa di micro-fratture che si irradiano da essa. Dal momento che il quarzo può formare lo scheletro dell’intera struttura, le onde della variazione possono manifestarsi attraverso tutto il pezzo facendo estendere le micro fratture in fratture maggiori. In conclusione, l'inversione del quarzo non è molto preoccupante nel primo fuoco, sia durante il riscaldamento o che durante il raffreddamento dei biscotti; in entrambi i casi, infatti, la porosità dell’argilla compensa le modeste variazioni di volume. Tuttavia, bisogna fare attenzione al secondo fuoco: una certa attenzione nelle terraglie; molta attenzione nel gres; veramente molta attenzione nella porcellana. Bisogna stare attenti alle eccessive quantità di polvere di quarzo nei corpi di argilla densi che non vetrificano completamente durante la cottura. In questi casi il quarzo non si dissolve per l’azione del fondente ma resta parte di una matrice non omogenea. Se possibile, è meglio utilizzare la polvere di quarzo più raffinata disponibile per ridurre il problema delle fratture in fase di raffreddamento. Questo post è stato brutto da scrivere, figuriamoci da leggere... Nel post del 9 settembre scorso ho accennato a questo particolare motivo decorativo detto uma-no-me, "occhio di cavallo" in italiano. Si tratta di una serie di ovali concentrici disposti intorno ad una circonferenza, di solito posta a cornice di piatti. Si tratta di un motivo tradizionale antichissimo, probabilmente non è nemmeno nota la sua l'origine, è un tipo di decorazione talmente ben codificata fin dalla più remota antichità che ha richiesto l'intervento degli antropologici per essere decodificato; ecco, gli antropologi, secondo uno degli studi più accreditati le cose starebbero così: per propiziare la pioggia, necessaria ad buon raccolto, bisognava assicurarsi i favori dei dragoni, che vivono nell'acqua, ai dragoni piacciono le cavalle, mettere delle cavalle sulle rive dei fiumi, però, era un problema poiché queste erano una delle principali forze da lavoro e quindi, furono sostituite dalle raffigurazioni dei loro occhi; chiaro? spero di si; vero? probabile; quanto meno verosimile; gli antropologi ricercano motivi pratici, legati alla vita quotidiana, per spiegare aspetti culturali. Il signor Osugi (che si legge con la g di gatto, noi scriveremmo Osughi) però, ha un'idea diversa; probabilmente diversa, non è un argomento facile; (tutte le foto di questo post riprendono il suo negozio, sotto c'è lui *); Osugi, dicevo, ci ha dato un'altra possibile interpretazione della decorazione a occhio di cavallo: secondo lui potrebbe trattarsi di una rappresentazione del cosmo; il signor Osugi non è antropologo ma ha passato la sua vita tra le ceramiche e si direbbe che lo abbia fatto con grande passione, il suo punto di vista è più che rispettabile; così è difficile, se non impossibile, sapere quale lettura sia quella vera, e magari è possibile che in qualche modo siano vere entrambe, comunque non è interessante fare confronti, quanto, invece, lo è ascoltare storie diverse. Osugi, inoltre, ci ha spiegato che, tradizionalmente, questi piatti avevano 3 o 5 o 7 occhi e che normalmente erano utilizzati in particolari cerimonie legate ai riti di passaggio dall'infanzia all'età adulta. Nei piatti contemporanei, però, questa regola del numero dispari sembra si sia persa. **]+* Se una o più foto pubblicate in questo post dovessero ledere i diritti e/o la privacy dei soggetti ritratti sarà sufficiente darcene comunicazione e le foto saranno immediatamente rimosse.
A circa 1000°Ci silicati basso fondenti (quelli che si sono formati durante la Decomposizione - vedi post precedenti) fondono e circondano i granuli di silice e i minerali della argille rimasti facendo diminuire la porosità.
La presenza di calcio nell'impasto argilloso o nello smalto produce composti tra questo e gli allumino-silicati, in particolare il metacaolino. Lo stesso accade per gli altri fondenti, quali sono gli alcali (Na e K). L’oggetto subisce un ritiro del 2 – 4 %, ma in alcuni casi può arrivare al 10%. In questa momento sono presenti sia la fase liquida che quella solida, la formazione di silicati rende sempre più rigida la fase liquida, che quindi, richiede temperature sempre più elevate per continuare il processo. Attorno ai 1200°C si completa la fusione dei silicati basso fondenti, mentre la metacaolinite inizia a decomporsi producendo silice e un allumino-silicato con struttura e composizione uguale a quella della Mullite naturale. A livello chimico, l'ossido di alluminio Al2O3, che fonde molto più tardi, agisce come una sorta di scheletro chimico quando la silice entra in soluzione, stabilizzando ulteriormente la massa di argilla. Questo ci aiuta a capire parte della magia: perché il pezzo non finisce squagliato sulla mensola del forno. Questi processi di fusione a temperature elevate che rendono l’argilla dura, vitrea e non porosa, vengono detti processi di vetrificazione. Se a questo punto aumentiamo ulteriormente la temperatura l’oggetto si affloscia e poi fonde trasformandosi in un liquido. Ogni argilla ha la sua temperatura di vetrificazione. Le terraglie tenere che contengono molte impurità, vetrificano a basse temperature, esse si afflosciano a temperature alle quali argille come il caolino non hanno ancora cominciato a vetrificare, ecco perché è importante cuocere l’argilla alla temperatura a cui raggiunge la massima durezza senza afflosciarsi e fondere. Questa è la cosiddetta temperatura di maturazione. Nell’oggetto di argilla le interazioni tra la porzione fusa e fluida e la porzione che rimane solida sono simili a quelle che si verificano in natura quando la lava vulcanica viene a contatto con rocce preesistenti (metamorfismo di contatto). Però i prodotti finali ottenuti, ossia le ceramiche, hanno i solito una composizione diversa da quella delle rocce naturali. Una delle poche eccezioni è costituita dalla Mullite, un minerale molto raro in natura e comune, invece, come componente delle porcellane e delle altre ceramiche che cuociono ad alta temperatura. La terracotta e le terraglie a bassa temperatura non sono cotte fino al punto di maturazione, quindi non arrivano a vetrificare completamente. Infatti restano porose, al contrario del grès e della porcellana che, se cotti fino al punto di maturazione, diventano impermeabili proprio perché perdono la porosità. Questo, però, non vuol dire che terracotta e terraglia perdono forza; un corpo argilloso poroso può essere molto resistente in virtù del legame vetroso che comunque si sviluppa tra le particelle. In conclusione, è importante capire il comportamento dell'argilla che si sta usando nei confronti del processo di vetrificazione in modo da portarlo avanti abbastanza da produrre la resistenza e il colore desiderati ma non tanto da produrre distorsioni. Quindi ognuno decide in modo arbitrario il grado di vetrificazione adatto al materiale a disposizione. Bisogna, poi, ener conto del fatto che alcune argille vetrificano entro un ampia gamma di temperature (ad esempio i grès), mentre altre entro limiti strettissimi richiedendo, quindi, un attento controllo della cottura (è il caso delle terraglie e delle terrecotte). Per una più approfondita conoscenza di questo processo è importante provare un’argilla a temperature inferiori e superiori a quella con cui si intende lavorare e a sottoporla a velocità di riscaldamento maggiori e minori di quelle di lavoro. Questo aiuta ad individuare la corretta modalità di cottura (velocità e temperatura massima) per l'argilla utilizzata. La cottura, allora, non è solo la fusione della silice e dei silicati in forma di vetro al fine di cementare un gruppo di rocce microscopiche, si tratta, piuttosto, di conversione e inversione della silice (di cui parlerò la prossima volta), dello sviluppo di nuovi cristalli come la mullite, dello sviluppo della chimica della fusione, della dissoluzione della silice e di una moltitudine di altre cose. Tutto ciò rende possibile la produzione di prodotti aventi una grande varietà di proprietà fisiche partendo dallo stesso pezzo di argilla, regolando soltanto la scheda di cottura. Un giorno a Tokyo vediamo dei bei pezzi di ceramica in una vetrina nel quartiere di Ginza, un paio avevano un ché di familiare, Federica traduce la targhetta e scopriamo che sono due ciotole di Shimaoka. Shimaoka Tatsuzo (1919-2007) è uno dei grandi esponenti del movimento mingei, è stato nominato Tesoro Nazionale Vivente ... va bene, ne parlerò un'altra volta comunque è uno importante davvero così entriamo da Takumi dentro vediamo prodotti di artigianato popolare giapponese, al primo piano c'è quasi solo ceramica; scopriemo che era il negozio di Yanagi Soetsu; ecco, Yanagi è stato il teorico del movimento mingei, anche di questo dovrò parlare, comunque si tratta di un movimento d'arte popolare, tra i ceramisti c'era Hamada Shoji, Takumi era un luogo d'incontro per gli artisti mingei; dentro c'era proprio una mostra sul movimento mingei. Chi ama la ceramica giapponese capisce cosa sto dicendo per glia altri, se sono interessati, cercherò, appena possibile, di dare le informazioni basilari su questo movimento d'arte popolare e sui principali personaggi che lo hanno caratterizzato. Per concludere, nel prosieguo del viaggio ci siamo resi conto che attualmente, almeno a Tokyo, c'è una grande attenzione per il recupero di questo importante movimento artistico e molti giovani ceramisti stanno ripercorrendo e reinterpretando ciò che è stato fatto il secolo scorso.
Lasciamo Kyoyo;
prima di partire entriamo in un piccolo negozio di antiquariato vicino al nostro albergo che si rivela un posto magico; il signor Osugi un vecchietto curvo, con molta voglia di parlare, ci intrattiene raccontando e spiegando qualsiasi pezzo guardiamo, tra le centinaia ordinate sugli scaffali, lui ci dice qualcosa che lo rende interessante ottima tecnica mercantile ma pure grande passione. Lui ci lascia fare le foto, è cosa rara, addirittura nel mercatino domenicale sotto il tempio Toji non abbiamo potuto riprendere alcuni banchi. Comunque, della bottega del signor Osugi torneró a parlare. Intanto un piatto con decorazione a "occhio di cavallo" Che poi due cose,di quelle già note, ci hanno colpito Il fatto che le stoviglie giapponesi appaiano molto più belle quando sono all'opera, per così dire, quando contengono il cibo; a un certo punto ci siamo accorti che osservando un pezzo esposto su di un qualche scaffale o in vetrina, ci viene da immaginare con quale cibo stia meglio; l'altra cosa riguarda il gusto che hanno qui per gli accostamenti eterogenei è difficile che le nostre ciotole siano uguali tra loro e coordinate con le ciotolette e i piattini delle altre pietanze. Il risultato, per esempio, è questo vassoio servito in un'izakaya di Kyoto (l'izakaya è più o meno l'equivalente di una birreria con cucina). |
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