Qualche giorno fa ho pubblicato un post su Instagram: la foto di uno schizzo veloce - matita su carta - e un testo breve.
Riporto di seguito sia l'una che l'altro. Il post ha ricevuto un apprezzamento molto inferiore rispetto alla media degli altri post. Ovviamente, è possibile che ciò sia dovuto a una bassa qualità del post nel suo insieme e bisogna anche considerare che l'argomento susciti poco interesse in chi segue il mio profilo - generalmente si tratta di ceramisti e appassionati di ceramica. Il disegno non è granché, me ne rendo conto, ma mi serviva un'immagine adatta al testo; il quale, dal canto suo, presenta un contenuto difficilmente riproducibile con foto di ciotole vere: la fotografia deforma l'immagine, l'appiattisce, rendendo complicata la resa della qualità degli spazi definiti dalla forma ceramica. Però l'oggetto del post su Instagram era il testo, non il disegno. Un errore mio non aver considerato il fatto che su quel social l'immagine vale di più mentre il testo ha una funzione accessoria, di supporto o di comunicazione, oltre che di contenitore di hashtag. Il concetto espresso discende da una riflessione di Shoji Hamada e, secondo me, merita attenzione da parte di chi realizza ciotole di ceramica per lo stimolo che offre a riflettere sulla geometria e sulla percezione tattile e visiva.
0 Comments
Un celadon del Monte CiminoSmalto di cenere di legna di pino (lavata); roccia del Cimino (probabilmente una trachite); quarzo.
Il colore, tenue, è quello del celadon. Un tenero celadon che ricava l'ossido di ferro (agente colorante) sia dalla roccia che dalla cenere (la legna di pino è tra quelle che contengono più ossido di ferro). Le colature sono quelle tipiche degli smalti di cenere. Il quarzo, un 20% circa, l'ho aggiunto semplicemente per mancanza di coraggio. Lo dico perché adesso sto cercando di ricordare, senza riuscirci, il motivo che mi ha impedito di utilizzare una semplice formula 50/50 roccia-cenere; allora devo pensare che avessi bisogno di inserire il materiale nuovo (la trachite) tra almeno due materiali conosciuti (cenere e quarzo). Questa scelta, in qualche modo, deve avermi rassicurato. Naturalmente tutto ciò accade per la pigrizia; altrimenti avrei preparato i provini per una linear blend (una serie di miscele variabili tra due materiali) e, successivamente, per testare una composizione a tre materiali. Insomma quello che si deve fare in caso di sperimentazione di un muovo materiale. Ok, allora farò così. Intanto, per essere chiari, trovo questa ciotola bellissima. Devo premettere che sono un po' stanco del "Forno di maggio". Ora racconto l'ultimo capitolo, le cose che mi sembrano interessanti da lasciare agli atti, poi inizierò a parlare di quello che verrà; su cui sto già lavorando. Ci vuole pazienza in questo lavoro. Il progettoCon questo post chiudo il ciclo dedicato allo smalto Irabo e alle sue varianti. Quelle di oggi sono interessanti perché da un lato apportano modifiche su una delle due componenti di base: l’argilla e dall’altro introducono un terzo elemento, in quantità modeste, tali da non snaturare l’essenza dello smalto di partenza ma in grado di aggiungere un particolare umore, come un cambio di luce. Come sempre, niente di nuovo. Anche le due formulazioni che propongo qui sono un semplice adattamento ai miei materiali e ai miei metodi di cottura dei lavori di altri ceramisti. L’inizio del percorso, insomma, poi vediamo dove mi porteranno queste varianti. Tanto per la cronaca, i ceramisti a cui faccio riferimento sono Carlos Versluys e Anne Franchetti. Al solito, è interessante notare come partendo da formulazioni analoghe si arrivi spesso a risultati radicalmente diversi modificando materiali e cottura, ma questo ormai lo sappiamo e ce lo aspettiamo. Quello che è utile, allora, è individuare, nel risultato ottenuto, le potenzialità di sviluppo. Insomma, non mi voglio soffermare sulle cause che determinano le differenze dall'originale e sforzarmi di raggiungere i risultati già raggiunti da altri, piuttosto voglio andare subito a cercare di capire se il mio modo e miei materiali, combinati a una certa formulazione di smalto, possano dare vita a qualcosa di interessante. Naturalmente il primo passo è un’applicazione più o meno pedissequa della formulazione data. Il passo successivo sarà, poi, lo sviluppo delle potenzialità che eventualmente dovessero emergere in prima battuta. Qui siamo al primo passo. I due esperimenti proposti prevedono l'uso della terra gialla di Tolfa al posto della terracotta come componente argilloso dello smalto. Ricordo che si tratta di un materiale piuttosto refrattario, quindi è utile aggiungere un terzo elemento, in quantità minore, che favorisca la fusione dello smalto. Nel primo caso l'elemento fondente è proprio la terracotta, che così rientra nella formulazione dello smalto in qualità di attore non protagonista. Nel secondo caso utilizzo il feldspato. Arido mistoSmalto “Arido misto”, una combinazione 50/50 di “Arido 1a” e “Arido 1b”: Arido 1 Cenere di olmo lavata 40 Argilla gialla di Tolfa 40 Terracotta 15 Composto nelle varianti “1a” che contiene 2% di Ossido di Titanio e “1b” con il 5% di Rutilo. In effetti, tenendo conto che il Rutilo è sostanzialmente ossido di Titanio, credo che di poter sintetizzare la formula mediando le percentuali di Titanio in forma di Ossido con il Rutilo. Al di là delle macchie di colore (altri smalti), è comunque uno smalto sporco, disomogeneo, grezzo. Forse va dato con spessori maggiori; probabilmente deve essere amalgamato meglio utilizzando materie prime più raffinate. Oppure va bene così sopratutto se utilizzato come complemento di altri rivestimenti. Nel lavoro che sto preparando, per esempio, che riguarderà i vulcani, chiazze e aloni giallastri possono tornare utili... Arido 2Daniel Rhodes negli anni '70 ha scritto un testo didattico dal titolo Pottery Form. Si tratta di un testo notevole per la semplicità con cui trasmette le basi necessarie a comprendere e a gestire le forme delle tipologie più comuni della ceramica funzionale. Ci tengo a sottolineare i due obiettivi: comprensione e gestione. Rhodes parla con chiarezza, scompone i pezzi negli elementi costitutivi e ciononostante riesce a dare la visione d'insieme dell'oggetto. Lo fa con un linguaggio discorsivo, riducendo all'essenziale gli argomenti. Un modo di raccontare il lavoro di realizzazione di ciotole, piatti, brocche che è ben rappresentato dalle foto in bianco e nero che ritraggono pezzi in ceramica nuda, illuminati in modo da evidenziare, con i chiaroscuri, le forme e i volumi; foto silenziose ed eloquenti. Purtroppo in rete, a parte la copertina, non ho trovato publicate immagini del contenuto e nemmeno io posso pubblicare quelle dalla mia copia del libro; che sono protette da copyright. Non so se oggi esistano testi così efficaci. Quello che Rhodes riesce a fare è potenziare gli elementi fondamentali del lavoro ricordando, contemporaneamente, al lettore, che il ceramista, l'apprendista, ha la responsabilità di fare proprie le informazioni e svilupparle in un linguaggio personale. E' probabile che l'efficacia del testo si esplichi particolarmente se chi lo legge ha già un'idea del lavoro con la ceramica. Per esempio, a proposito del piede delle ciotole, Rhodes dice:
Ecco, una caratteristica del suo modo di spiegare è che non pone le questioni adottato un punto di vista quantitativo, non fornisce misure o proporzioni ma sempre elementi qualitativi; si preoccupa, insomma, di come le cose appaiono all'occhio. La decisione sulla stabilità della ciotola; la scelta sul punto esatto in cui la curva è compiuta e, quindi, può essere interrotta senza danno estetico, sta a chi realizza la ciotola. All'occhio e alla sensibilità del ceramista. La responsabilità delle scelte non può averla il maestro. Chi insegna deve fornire i criteri di scelta e mi sembra che Rhodes lo faccia. Un testo degli anni '70 che, secondo me, ancora funziona. * Traduzione approssimativa: Ciotola. Questo tipo è detto "ciotola di riso". Il profilo è una "curva S" piuttosto rigida. Il piede è abbastanza largo per garantire la stabilità ma abbastanza stretto da non interrompere la curva del fondo. Tutto questo per dire che Rhodes, nel suo testo, presenta, sinteticamente, quattro profili di riferimento per le ciotole. In particolare quelle che gli orientali chiamano ciotole da riso, ovviamente per l'uso a cui sono normalmente destinate.
I quattro tipi sono:
La frase del testo di Rhodes, scelta come esemplificativa di un modo di presentare le cose, non è stata scelta a caso. Nell'ultima infornata volevo elaborare una forma. Quando dico elaborare intendo, in modo piuttosto letterale, lo sviluppo di un'idea che già esiste; in questo caso non invento ma faccio mia una forma. Ero interessato a una forma di ciotola che fosse più tozza - mi viene da dire più tarchiata - quindi bassa rispetto alla larghezza, col piede che segue questa tendenza. Non è semplice perché quell'appello a non interrompere la curva con cui il fianco della ciotola va a chiudere sul piede mantiene una sua validità. Quindi per arrivare ad un risultato soddisfacente ho dovuto prendere iniziando da carta e matita. Quello che ne è venuto fuori è una forma che ho chiamato a bacinella. Di seguito l'elaborazione grafica della mia bacinella con la frase di Duke Ellington (sostituendo looks a sounds) con cui ho deciso quale fosse la forma giusta per me: "If it sounds (looks) good, it is good" L'esito del lavoro lo si può osservare nel post precedente: Forno di maggio - Disamina 3. Ovviamente, rispetto a quanto fatto nel post citato, dove parlavo principalmente della pelle della ciotola: del suo rivestimento, dell'aspetto finale, qui voglio sottolineare il profilo, la forma pura, le curve e i relativi raccordi. Per questo, di seguito riporto le foto delle stesse ciotole del post precedente ma ritratte nude, prima della cottura. Qui, insomma, cerco di raccontare il mio modo di procedere mostrando i passaggi chiave del processo. Tra le notazioni appuntate sullo schizzo ce ne sono giusto un paio da evidenziare:
Il Namako, detto anche Madara, è il nome di uno degli smalti tipici della tradizione Karatsu. Dei tre smalti che caratterizzano la produzione ceramica dell'area di Karatsu, questo è il più difficile da riprodurre, sia perché richiede temperature di cottura molto elevate sia perché deve prodursi un effetto screziato e non è scontato che ciò accada. Infatti, la formulazione dello smalto prevede l'utilizzo, oltre al feldspato e alla silice, di argilla e cenere di legna. Gli ultimi due ingredienti non sono elementi puri ma portano la complessità degli elementi naturali e il controllo di uno smalto in queste condizioni è un po' più complicato. Ho parlato degli smalti della tradizione Karatsu nei post del 17/2/2019 e del 1/2/2015. In particolare, nel vecchio post del 2015 fornivo le ricette proposte dalla storica dell'arte Johanna Becker. Il Madara, il quelle ricostruzioni, contiene la cenere di crusca di riso (o di paglia), un materiale particolarmente ricco di silicio. Nel caso di queste ciotole ho utilizzato direttamente polvere di quarzo. Come ho già detto da qualche altra parte, l'uso della cenere di paglia offre spesso risultati sorprendentemente belli ma la gestione dello smalto a crudo è complicatissima perché si tratta di un materiale estremamente voluminoso e difficile da diluire correttamente così che risulta molto complicato rivestire il pezzo in modo uniforme e con lo spessore giusto. Personalmente trovo che questo smalto sia il più marino di quelli che sto producendo ultimamente.
E' una considerazione minima, mi rendo conto, ma è utile al processo di emancipazione dalla tradizione giapponese che pure resta il mio principale riferimento nei fatti che riguardano la ceramica. Un riferimento culturale ma soprattutto tecnico. I miei maestri sono loro, i ceramisti giapponesi. Però, a distanza di anni di lavoro, di prove, di studio dei materiali, i miei materiali, di studio sulle forme, mi accorgo che l'obiettivo non è più la replica di pezzi quanto più somiglianti possibile all'originale ma la creazione di qualcosa che mi piaccia, utilizzando gli strumenti fin qui acquisiti. La sintesi, del tutto personale, di tante esperienze, mie come di altri ceramisti. Quindi ... tutto qui, uno smalto acqua di mare. Parlo spesso dei miei fallimenti, perché da questi si impara più che dai successi. I successi, normalmente, sono un punto di arrivo e in quanto tali non danno al lavoro una prospettiva ampia e profonda. Poi ci sono le cose che semplicemente vanno bene, non un successo, solo vanno come ci si aspetta che vadano, un normale passaggio nel processo di crescita, se non fosse che qualche volta portano con se un elemento imprevisto: un'anomalia* che non necessariamente ne diminuisce il pregio. Qualche volta, anzi... Ho foggiato un pezzo dalla forma molto semplice e ho deciso di rivestirlo completamente con un unico smalto: lo jun, appunto, in modo che l'azzurro opalescente, con la sua profondità e ricchezza, fosse il solo protagonista; l'oggetto del mio studio e al contempo l'elemento di attrattiva per l'osservatore esterno. Quindi la ciotola che presento in questo post risponde quasi completamente alle aspettative - l'esito è quasi conforme alla norma - ma ha qualcosa in più che io non ho aggiunto volontariamente; è capitato. Dal Vocabolario Treccani on line anomalìa s. f. [dal gr. ἀνωμαλία, lat. anomalĭa; v. anomalo]. – Irregolarità, difformità dalla regola generale, o da una struttura, da un tipo che si considera come normale... La macchia rossa sul bordo: l'anomalia. Non ho dato rame su questo pezzo. Il rame si usa per ottenere i rossi sugli smalti; lo sapevano già i cinesi nel XI secolo, ma io non ho usato il rame su nessuno dei pezzi infornati insieme a questa ciotola. Quindi il rame era già nel forno, sicuramente sulla lastra che stava vicino al bordo della ciotola. Evidentemente, l'ultima volta che ho usato quella lastra c'è caduta sopra una goccia di smalto che si è portata con se un po' di rame. Insomma, è successo e il rame, ad alta temperatura, "salta". I ceramisti dicono così. La temperatura di ebollizione del rame (quella in cui passa allo stato gassoso) è di 2567 °C ma già dai 1025°C diventa instabile e tende a volatilizzare andando poi a depositarsi sui pezzi che si trova intorno, all'interno del forno, catturato da smalti che stanno fondendo. Più la temperatura sale più il fenomeno si fa intenso. Misteri della chimica... o meglio, misteri per chi non conosce la chimica. Allora resto nel modo dei ceramisti: il rame alle alte temperature "salta". Qui è "saltato" e si è depositato sulla ciotola creando un imprevisto alone purpureo. A questo punto devo aggiungere una cosa: se c'era del rame su quella lastra del mio forno è perché in passato ho già provato a sovrapporre il rosso rame all'azzurro e l'ho fatto perché questa combinazione è tipica della ceramica jun. Soprattutto nella prima parte della produzione jun, quella nota come "classic jun", compaiono, ad un certo punto, macchie rosse sullo sfondo azzurro. Il rame qui non è ancora entrato nello smalto, come accadrà più avanti nella produzione del cosiddetto "numbered jun" (o "jun ufficiale" nella dizione cinese), ma è sullo smalto azzurro; sono macchie, segni astratti; rosso su azzurro; sangue sullo sfondo del cielo. Combinazione cromatica che per me evoca vivacità, forza vitale e che qualche autore definisce drammatica. Oppure è espressione di grande raffinatezza. La Cina tra i secoli XI e XII (epoca dello jun classico) offre diverse soluzioni storiche. I ceramisti hanno introdotto il rosso di rame sull'azzurro profondo dello jun durante la dinastia Song, erede della tradizione imperiale cinese, o sotto i mongoli Jurchen dell'impero Jin? I clienti (lo jun classico non era una ceramica di corte) erano raffinati commercianti e funzionari pubblici o i discendenti di cavalieri nomadi delle steppe? Non so ma a questo punto mi viene voglia di lavorarci sopra... Ogni tanto ci torno; perché mi piace. Mi piace l'idea di un rivestimento tanto semplice quanto imprevedibile; in quanto non completamente gestibile. E' rustico ed elegante. Così poco gentile al tatto: Irabo è il nome giapponese per questo tipo di smalto - devo averlo già scritto - e proviene dal termine "ira-ira" che significa fastidioso, irritante, proprio a causa della sua superficie ruvida. Tenere tra le mani una ciotola del genere è come toccare la corteccia di un albero o una pietra vulcanica levigata dal mare. Un compromesso tra l'homo faber e la natura della materia che egli lavora e trasforma: l'uomo arriva fino a un certo punto, poi lascia fare agli elementi. Gli ingredienti dello smalto sono: terracotta, eventualmente sabbia e cenere di legna.
Di norma è sottilissimo in modo da lasciare trasparire la grana del corpo. Di origine coreana, è molto apprezzato per le ciotole destinate alla cerimonia del te. Coppia di ciotole. Forma squadrata ma con linee e angoli ammorbiditi. Gres color camoscio. Smalto jun a spessore non uniforme con linea di tenmoku tea dust sul bordo che crea colature color verde/giallo con punti color oro. Nessun ingobbio. Lo jun è derivato dalla formula detta 4:3:2:1 attribuita a Leach. La formula base prevede: 4 parti di feldspato di potassio; 3 di quarzo; 2 di carbonato di calcio; 1 di caolino. poi il caolino viene ulteriormente ridotto e sostituito in parte da talco e da colemanite. Infine c'è un pizzico di ossido di ferro nero. Sul perché lo jun ha questo colore dovrò scrivere presto qualcosa. Le foto deformano il colore.
Qualche differenza tra le due ciotole c'è ma non è così evidente come appare dalle due immagini qui sopra. Inoltre, il color oro delle colature si perde completamente. C'è anche un accenno di colatura dello Jun ma direi che è accettabile. Da settembre ho iniziato un nuovo lavoro,
si tratta di ciotole, tanto per cambiare, si tratta di una serie di ciotole per Momo, Momo la nuotatrice; adesso sto preparando i provini, una decina di pezzi, credo, con lievi variazioni di dimensione e con diversi rivestimenti, da presentare a Momo per farci un'idea di cosa le piace di più. Come al solito sto disegnando, anzi, ho disegnato e ora sono già in fase di realizzazione. Il lavoro prende spunto o ispirazione da Pottery Form di Daniel Rhodes, in particolare mi sono concentrato su quelle che Rhodes chiama: curva S, Parabola e "Straight and Curved" che per me è la Squadrata e che, comunque, poi ho abbandonato. Ma sulle forme scriverò poi. Intanto dirò di un paio di citazioni che dettano le linee guida di questa collezione. La prima riprende un post di Improvised Life di settembre scorso che qui sintetizzo in Just Slightly off; parla di John Ashbery, poeta americano, che in un'intervista, a proposito dell'idea di shoccare il lettore, spiega che per lui è una cosa da rifiutare in quanto solo tattica aggressiva e paragona la propria scrittura al suo modo di vestire e dice: I try ti dress in a way that is just slightly off, so the spectator, if he notices, will feel slightly bemused but not excluded, remembering his own imperfect mode to dress. La seconda citazione è un estratto della definizione della parola "pulito" dal vocabolario Treccani: pulito agg. [part. pass. di pulire]. – 1. Privo di ogni sorta di sudiciume, ... (anche col sign. di non truccato, e nel senso fig. di onesto, leale); ... semplice ed elegante; ... 2. fig. a. Che non ha, che non presenta niente di scorretto, di sleale, di disonesto ... senza imbrogli ... che non offende il pudore, la convenienza, la decenza. b. Chiaro, nitido, non disturbato da rumori e sim. ... just slightly off ... pulito Ci ho pensato un po' prima di pubblicare questo post, si tratta di ciotole che non hanno nulla di diverso da altre di cui ho già detto, in fondo il problema non è tanto se mostrare o no le foto di queste tazze, c'è un aspetto più generale che riguarda la direzione da tenere nel prosieguo del blog, il senso di questo postare lavori che non aggiungono granché alla descrizione del mio lavoro. Per questo non scrivo da un po' di tempo. Comunque eccole: una rivestita con smalto jun, l'altra con smalto tea dust sovrapposto al tenmoku. Ora si tratta di riflettere e cercare delle motivazioni nuove. Scrivendo mi rendo conto che la domanda vera non riguarda nemmeno il blog ma proprio il mio lavoro, adesso che è iniziato un nuovo anno, tolte alcune incombenze legate a richieste specifiche: ancora dei don'buri, un paio di yunomi, delle piastrelle... tolto tutto questo, per il 2017 che progetti ho? quali sono i propositi? quale la direzione da seguire per progredire? Che poi, ad essere precisi sono due coppie. |
AutoriVesuvioLab Archivio
Ottobre 2023
Categorie
Tutti
|