Il Namako, detto anche Madara, è il nome di uno degli smalti tipici della tradizione Karatsu. Dei tre smalti che caratterizzano la produzione ceramica dell'area di Karatsu, questo è il più difficile da riprodurre, sia perché richiede temperature di cottura molto elevate sia perché deve prodursi un effetto screziato e non è scontato che ciò accada. Infatti, la formulazione dello smalto prevede l'utilizzo, oltre al feldspato e alla silice, di argilla e cenere di legna. Gli ultimi due ingredienti non sono elementi puri ma portano la complessità degli elementi naturali e il controllo di uno smalto in queste condizioni è un po' più complicato. Ho parlato degli smalti della tradizione Karatsu nei post del 17/2/2019 e del 1/2/2015. In particolare, nel vecchio post del 2015 fornivo le ricette proposte dalla storica dell'arte Johanna Becker. Il Madara, il quelle ricostruzioni, contiene la cenere di crusca di riso (o di paglia), un materiale particolarmente ricco di silicio. Nel caso di queste ciotole ho utilizzato direttamente polvere di quarzo. Come ho già detto da qualche altra parte, l'uso della cenere di paglia offre spesso risultati sorprendentemente belli ma la gestione dello smalto a crudo è complicatissima perché si tratta di un materiale estremamente voluminoso e difficile da diluire correttamente così che risulta molto complicato rivestire il pezzo in modo uniforme e con lo spessore giusto. Personalmente trovo che questo smalto sia il più marino di quelli che sto producendo ultimamente.
E' una considerazione minima, mi rendo conto, ma è utile al processo di emancipazione dalla tradizione giapponese che pure resta il mio principale riferimento nei fatti che riguardano la ceramica. Un riferimento culturale ma soprattutto tecnico. I miei maestri sono loro, i ceramisti giapponesi. Però, a distanza di anni di lavoro, di prove, di studio dei materiali, i miei materiali, di studio sulle forme, mi accorgo che l'obiettivo non è più la replica di pezzi quanto più somiglianti possibile all'originale ma la creazione di qualcosa che mi piaccia, utilizzando gli strumenti fin qui acquisiti. La sintesi, del tutto personale, di tante esperienze, mie come di altri ceramisti. Quindi ... tutto qui, uno smalto acqua di mare.
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Parlo spesso dei miei fallimenti, perché da questi si impara più che dai successi. I successi, normalmente, sono un punto di arrivo e in quanto tali non danno al lavoro una prospettiva ampia e profonda. Poi ci sono le cose che semplicemente vanno bene, non un successo, solo vanno come ci si aspetta che vadano, un normale passaggio nel processo di crescita, se non fosse che qualche volta portano con se un elemento imprevisto: un'anomalia* che non necessariamente ne diminuisce il pregio. Qualche volta, anzi... Ho foggiato un pezzo dalla forma molto semplice e ho deciso di rivestirlo completamente con un unico smalto: lo jun, appunto, in modo che l'azzurro opalescente, con la sua profondità e ricchezza, fosse il solo protagonista; l'oggetto del mio studio e al contempo l'elemento di attrattiva per l'osservatore esterno. Quindi la ciotola che presento in questo post risponde quasi completamente alle aspettative - l'esito è quasi conforme alla norma - ma ha qualcosa in più che io non ho aggiunto volontariamente; è capitato. Dal Vocabolario Treccani on line anomalìa s. f. [dal gr. ἀνωμαλία, lat. anomalĭa; v. anomalo]. – Irregolarità, difformità dalla regola generale, o da una struttura, da un tipo che si considera come normale... La macchia rossa sul bordo: l'anomalia. Non ho dato rame su questo pezzo. Il rame si usa per ottenere i rossi sugli smalti; lo sapevano già i cinesi nel XI secolo, ma io non ho usato il rame su nessuno dei pezzi infornati insieme a questa ciotola. Quindi il rame era già nel forno, sicuramente sulla lastra che stava vicino al bordo della ciotola. Evidentemente, l'ultima volta che ho usato quella lastra c'è caduta sopra una goccia di smalto che si è portata con se un po' di rame. Insomma, è successo e il rame, ad alta temperatura, "salta". I ceramisti dicono così. La temperatura di ebollizione del rame (quella in cui passa allo stato gassoso) è di 2567 °C ma già dai 1025°C diventa instabile e tende a volatilizzare andando poi a depositarsi sui pezzi che si trova intorno, all'interno del forno, catturato da smalti che stanno fondendo. Più la temperatura sale più il fenomeno si fa intenso. Misteri della chimica... o meglio, misteri per chi non conosce la chimica. Allora resto nel modo dei ceramisti: il rame alle alte temperature "salta". Qui è "saltato" e si è depositato sulla ciotola creando un imprevisto alone purpureo. A questo punto devo aggiungere una cosa: se c'era del rame su quella lastra del mio forno è perché in passato ho già provato a sovrapporre il rosso rame all'azzurro e l'ho fatto perché questa combinazione è tipica della ceramica jun. Soprattutto nella prima parte della produzione jun, quella nota come "classic jun", compaiono, ad un certo punto, macchie rosse sullo sfondo azzurro. Il rame qui non è ancora entrato nello smalto, come accadrà più avanti nella produzione del cosiddetto "numbered jun" (o "jun ufficiale" nella dizione cinese), ma è sullo smalto azzurro; sono macchie, segni astratti; rosso su azzurro; sangue sullo sfondo del cielo. Combinazione cromatica che per me evoca vivacità, forza vitale e che qualche autore definisce drammatica. Oppure è espressione di grande raffinatezza. La Cina tra i secoli XI e XII (epoca dello jun classico) offre diverse soluzioni storiche. I ceramisti hanno introdotto il rosso di rame sull'azzurro profondo dello jun durante la dinastia Song, erede della tradizione imperiale cinese, o sotto i mongoli Jurchen dell'impero Jin? I clienti (lo jun classico non era una ceramica di corte) erano raffinati commercianti e funzionari pubblici o i discendenti di cavalieri nomadi delle steppe? Non so ma a questo punto mi viene voglia di lavorarci sopra... Ogni tanto ci torno; perché mi piace. Mi piace l'idea di un rivestimento tanto semplice quanto imprevedibile; in quanto non completamente gestibile. E' rustico ed elegante. Così poco gentile al tatto: Irabo è il nome giapponese per questo tipo di smalto - devo averlo già scritto - e proviene dal termine "ira-ira" che significa fastidioso, irritante, proprio a causa della sua superficie ruvida. Tenere tra le mani una ciotola del genere è come toccare la corteccia di un albero o una pietra vulcanica levigata dal mare. Un compromesso tra l'homo faber e la natura della materia che egli lavora e trasforma: l'uomo arriva fino a un certo punto, poi lascia fare agli elementi. Gli ingredienti dello smalto sono: terracotta, eventualmente sabbia e cenere di legna.
Di norma è sottilissimo in modo da lasciare trasparire la grana del corpo. Di origine coreana, è molto apprezzato per le ciotole destinate alla cerimonia del te. |
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