Ho iniziato a pubblicare anche su Instagram. A gestire l'account, per conto di Cono9, è Amarvicio Villa di VesuvioLab. Ritratto del giovane (molto giovane!) Amarvicio disegnato da Paolo P. vent'anni fa.
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Sono più di sue mesi che non scrivo ma ho lavorato;
ho prodotto pezzi nuovi, oltre alle mie ciotole e ai piatti, ho realizzato vasi e bottiglie di diverse dimensioni, ho fatto delle tazzine di porcellana a colaggio, ho iniziato a utilizzare la porcellana come ingobbio sul grès; mi sono divertito, insomma. Ho studiato i lavori di Katherine Pleydell-Bouverie, di Daniel Rhodes, di Lisa Hammond, di Rosanjin e Nik Collins e Giorgio Morandi e Anne Franchetti e altri che ora non mi vengono in mente - mi perdoneranno e li citerò un'altra volta.. Ho osservato, disegnato, lavorato al tornio; il foglio di disegni che ho pubblicato nel post precedente, per esempio, contiene diversi di questi pezzi, altri sono schizzati su altri fogli e mi piace vedere il processo nelle diverse fasi perché così tutto sembra avere un senso. Non so ... non sono sicuro di riuscire a trasmettere cosa intendo; è qualcosa di simile alle tappe di un viaggio e forse, proprio per questo, ha un senso solo per me. Chissà ... Comunque non sono ancora la capolinea, adesso ci sono la smaltatura e la cottura, anzi, le cotture, perché per cuocere tutto ci vorranno tre infornate, credo. E almeno una di queste sarà, per me, una vera novità, una scheda di cottura nuova per smalti nuovi - ne parlerò. Devo prepararmi agli inevitabili fallimenti, soprattutto per gli smalti nuovi; è un passaggio obbligato, è la sperimentazione ma mi piace e non conosco altro maniera per arrivare a comprendere le cose che mi interessano. Quindi, si, ho scritto poco, ma ho lavorato e adesso ho molto materiale di cui parlare, indipendentemente da come verranno fuori i nuovi pezzi. Quasi indipendentemente ... Per fare bene un pezzo devo sapere tutto fin dall'inizio.
Quando mi siedo al tornio con una palla d'argilla in mano devo sapere cosa sto facendo; la funzione dell'oggetto, certo; la sua dimensione e la sua forma, in modo più possibile dettagliato; se si tratta di una ciotola, ad esempio, devo avere già in mente se avrà le falde tese o curve e se il bordo avrà un garbo verso l'esterno o resterà rigido oppure se andrà a chiudere verso l'interno e poi c'è da definire l'attacco al piede e, ovviamente, come sarà fatto il piede stesso. Ma non basta aver chiari gli aspetti geometrici e formali, ho bisogno di prevedere come sarà rivestito il pezzo, l'eventuale ingobbio, lo smalto o gli smalti, e se avrà o meno dei segni a ossido. Insomma tutto. Devo poter immaginare il pezzo finito. Più la visione è chiara e più probabilità ci sono che il lavoro arrivi in fondo fatto bene. Si chiama progetto. Lee Krasner ovvero la riscoperta di un'artista del '900 Qualche tempo fa, l'8 ottobre, è uscito un articolo sul sito “Artsy” che raccoglie brani di diverse interviste rilasciate dalla pittrice espressionista Lee Krasner (1908-1984) negli ultimi venti anni di vita. Si parla dell'importanza di perseveranza, spontaneità, fallimento e rischio. L’articolo è strutturato in tre blocchi: #1 sulla necessità di lottare per imporsi e ottenere il proprio spazio. Nel suo caso gli ostacoli sono stati il sessismo imperante anche nel mondo dell’arte nella prima parte del XX secolo – il suo insegnante di disegno, per farle un “complimento”, le disse che le sue opere erano talmente belle che non si direbbe che siano state fatte da una donna – L’enorme ombra del marito, il pittore Jackson Pollock e la difficoltà che gli artisti astratti americani incontrarono nella prima metà del ‘900 nell’imporsi all’attenzione dei “guardiani del mondo dell'arte”. #2 sull’importanza del cambiamento o, come diceva lei stessa, della rottura. Mi ritrovo a lavorare per un certo periodo di tempo, di quattro e cinque anni, su qualcosa, poi si verifica una rottura [nelle] immagini e devo seguirla... alla ricerca di un'estetica che sfrutti più efficacemente le sue emozioni. Allo stesso modo sosteneva il cambiamento anche nell’atto stesso di dipingere: quando dipingo non mi interessa una teoria che già esiste perché penso che ci sia un sacco di pittura morta, non interessante, sterile. Beh, non è molto eccitante, per l'amor del cielo. Uno vuole scoprire e ancora “nel momento in cui inizi a dire che questo non si può fare e quello deve essere fatto e non si può fare l'altra cosa, beh, è roba piuttosto noiosa e certamente non stai consentendo alcun tipo di scoperta. Stai tagliando rapidamente quella fonte. Quindi, secondo la Krasner, è necessario lasciarsi andare e così, parlando del suo atteggiamento nel lavoro diceva: Insisto per lasciarlo andare nel modo in cui sta andando invece di forzarlo. Le cose miracolose, le piaceva dire, accadono quando non sei rigido su un'idea fissa, prima di entrare nel tuo studio, su ciò che dovrebbe essere un dipinto ... perché questo sembra togliere tutta la gioia di vivere. #3 sulla rivisitazione dei propri fallimenti: leggendo le sue parole si direbbe che il cambiamento di cui la Krasner parla, quando dice: Per quanto riguarda me, penso che il cambiamento sia l'unica costante, non sia un processo lineare ma proceda come un pendolo e in effetti tornava spesso sul lavoro passato, reinventando progetti falliti sotto forma di nuove composizioni; raccontando di come è nata una serie di sue opere tra le più celebri dice: ho fatto una serie di disegni, li ho appuntati in tutto lo studio, un giorno sono entrata, li odiavo, li ho strappati tutti e li ho buttati sul pavimento. Quando sono tornata di nuovo in studio, diversi giorni dopo, [i disegni] messi in quel modo avevano un bell'aspetto … Questo sembra essere il mio processo di lavoro: torno costantemente a qualcosa che ho fatto prima, rifacendolo, facendo qualcos'altro e uscendo con un'altra immagine, più chiara possibile ... Distruggere per ricreare. In rete, naturalmente, si trova molto materiale. Ovviamente molto di più se opta per la lingua inglese. Personalmente trovo interessante spulciare qua e là, tra i libri o in rete o ascoltando qualcuno che parli dei processi creativi e produttivi - Faccio sempre una certa difficoltà a distinguere la creazione dalla produzione ma questo è un problema mio. Della breve sintesi che ho proposto sopra, nella fase attuale della mia vita di ceramista, mi interessa particolarmente il contenuto del blocco #2. Quel lasciarsi andare è centrale nella ricerca di un linguaggio personale, che superi le cose già viste e ci consenta di produrre una sintesi originale di ciò che ci circonda ma è anche il modo più rapido per arrivare al compimento di brutture vuote e inutili. Schifezze. Probabilmente c'entra il talento che se c'è ti accompagna nell'incoscienza del "gesto" ma, secondo me, c'è dentro anche quello che antichi insegnanti cinesi sintetizzavano così: Se aspirate a fare a meno del metodo, dovete imparare il metodo. Se aspirate alla facilità, dovete lavorare con accanimento. Se aspirate alla semplicità, dovete imparare a fondo la complessità.* Che, detto in modo più terra terra, secondo me vuol dire osservare, studiare e lavorare. Su ogni singola parte del processo produttivo in cui siamo coinvolti. Solo così si può sperare di assimilare il mondo circostante e al contempo acquisire gli strumenti idonei a tradurlo in pensieri, oggetti e opere. Mi rendo conto, è un concetto tanto banale quanto ovvio eppure ci sono momenti nel proprio rapporto con il lavoro nei quali si sente un impulso a cambiare passo; è come un richiamo irresistibile che ci rende insopportabile continuare a fare le cose che stiamo già facendo, nel modo in cui le abbiamo fatte finora. Momenti come quello in cui Lee Krasner stacca i suoi disegni dal muro, li straccia e li getta per terra. Il punto è che non sempre poi torni il giorno dopo e trovi per terra la risposta che cercavi per cambiare le cose. E' semplice, in certi momenti, se ti lasci andare, torni alle consuetudini e questo non va bene. Non in generale. Non va bene per me, adesso. Quindi mi sono messo di nuovo a osservare, a studiare e, un po', anche a lavorare. * Da: "Gli insegnamenti della pittura del giardino grande come un granello di senape" LUNI EDITRICE Sabato scorso, 25 maggio, ho fatto un forno; una cottura.
Oltre 30 ciotole, tutte più o meno della stessa misura, cosa che al fuochista non piace; meglio caricare il forno con pezzi di misure diverse: si spreca meno volume nella camera di cottura. Il fuochista ci tiene ad ottimizzare gli spazi nel suo forno. Si tratta di un’infornata molto sperimentale. Ho provato nuovi smalti e nuove sovrapposizioni, combinazioni mai provate con l'argilla del corpo o con ossidi coloranti. Ho sperimentato. Il motto, parafrasando il celebre Navigare necesse est, vivere non est necesse di Plutarco, è stato Sperimentare è necessario, replicare non è necessario. Dopo oltre un anno di azzurro avevo bisogno di creare nuovo humus per poi far crescere altre idee. Certo, in ogni infornata ci può essere – e di solito c’è – qualche cosa di nuovo ma si tratta di esperimenti puntuali, circoscritti. Questa volta, invece, il grosso dell’infornata è dedicato a un’idea e alle possibili proposte tecniche per realizzarla. L’idea è tutta dentro una parola: l’autunno. Il compito, allora, è stato quello di sviluppare smalti e composizioni di smalti che rispondessero a questo tema. Non ho ancora sfornato, quindi non so com'è andata. Confido sul fatto che il materiale è tanto e posso sperare di tirare fuori dal forno qualcosa di buono da pubblicare nei prossimi giorni; del resto, chi mi segue lo sa, non ho paura dei fallimenti, soprattutto quando sperimento. A presto. Foto degli schizzi preparatori e del pezzo in fase di realizzazione - non ancora smaltato. Le foto risalgono al 2013. Il pezzo è un katakuchi - è tanto che non ne faccio più. Ho sempre avuto chiara l'importanza del disegno preparatorio. Certo, si può lavorare anche senza, avendo in testa il progetto, la forma. Ci si mette al tornio e le mani "tirano su il pezzo", che quasi sembra lavorino in modo autonomo. Un certo automatismo in lavori come quello del tornitore è fisiologico soprattutto per forme che si ripetono, ma per mettere a punto una certa forma che ho in testa oppure se voglio riprodurre un pezzo che ho visto, ho bisogno di disegnare, prima. La fase di studio di una forma è, per me, essenziale e passa per il disegno. Infine, è utile confrontare il pezzo foggiato - magari anche biscottato, come il katakuchi qui sopra - con i disegni preparatori; è utile perché aiuta a mettere in relazione il disegno con la forma tridimensionale che ne deriva: l'intenzione col gesto. Instead of self-expression, I'm involved in self-alteration John Cage I classici vanno copiati, interiorizzati, rielaborati;
che poi, a ben vedere, sono anche loro a rielaborare noi. E si torna a John Cage. La cosa che sta cambiando nel mio lavoro è il rapporto con il rivestimento e la decorazione dei pezzi. Può sembrare che ormai da tempo faccia sempre le stesse cose, è vero, talmente vero che mi sono chiesto anch'io se non mi fossi infilato in un vicolo cieco. Ma non è così. Non credo. Non potevo continuare a sperimentare nuovi materiali e nuove ricette di smalti. Già da tempo... a pensarci ora appare ovvio... da tempo ho costituito una mia paletta di colori, ho trovato i miei smalti eppure continuavo a cercare, o immaginavo di farlo, girando intorno alle stesse cose. In fondo si tratta di un passaggio fisiologico: una volta acquisti gli strumenti, le tecniche di base, si deve passare allo sviluppo e alla maturazione di un proprio modo di usarli. Poi, certo, qualcosa di nuovo qua e là non me la faccio mancare. In questo piatto, ad esempio, non c'è granché di nuovo nella composizione del rivestimento: si tratta di una sovrapposizione di tre smalti, anzi quattro; c'è prima uno smalto feldspatico (choseki) molto sottile e con un po' di ferro dato sul pezzo ancora crudo, poi, sul biscotto la combinazione di un tenmoku bruno molto terroso (TKTG) come base, una spirale leggera di tenmoku lucido nero nella parte centrale e gocce di tea dust. La spirale centrale è troppo leggera e appare solo un area molto ristretta proprio al centro contornata da un vago alone che gli fa un mezzo giro intorno. Le gocce, ben evidenti, sporcano dando carattere e naturalezza al piatto. Insomma, oggi il lavoro non riguarda la composizione degli smalti ma il gesto con cui dare la pennellata a spirale o quello con cui inserire le chiazze di verde. La cosa bella della ceramica è l'opportunità di divertimento che offre;
solo così posso definire lo spirito con cui ho realizzato queste tazzine; e non mi sembra poco. Piccoli oggetti, senza pretese. Lavoro con leggerezza provando sovrapposizioni di smalti; le tazzine diventano provini, poi restituiscono quel senso di spensieratezza del gesto. Spero che sia questa la loro qualità. A proposito delle considerazioni che ho fatto nell'ultimo post,
quelle sulla direzione del blog e poi, più in generale, sul mio lavoro, ci sono queste righe che mi sono capitate sotto gli occhi proprio in questi giorni: "Bisogna rinnovare il nostro legame con la natura, il nostro legame con il futuro. In questa situazione precaria prolungata e in questa incertezza manca del tutto una proiezione sul futuro." Da Terreni di Oddny Eir AEvarsdottir (Ed. Safarà). Ragionarci sopra? approfondire, spiegare... No, a pensarci bene, meglio di no; lascio in profondità il legame tra queste parole e i miei pensieri, diciamo così, ad uno stadio intuitivo. Poi, se dentro c'è vita, verrà il momento in cui germoglieranno e se accadrà, probabilmente accadrà mentre sono con le mani in pasta. |
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Ottobre 2023
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