Ampio, irregolare, aperto. Impasto refrattario a grana media/grossolana.; colore nocciola. Foggiatura veloce, senza ripensamenti, senza ritocchi sulle crepe che si aprono lungo il perimetro. Tre strati di smalto nuka dato a getto che rivelano le successive sovrapposizioni. Un primo passo nella ricerca di un equilibrio soddisfacente tra forma, colore e tessitura superficiale. Devo dire che le forme mi piacciono e rispondono agli obiettivi del progetto. Anche la tessitura superficiale mi pare che vada bene. Sui colori non so. Rispondono al requisito di "vulcanico" che l'oggetto cratere richiede ma non sono del tutto convinto. Quindi il prossimo tentativo dovrà essere rivolto proprio a questo aspetto. Vedremo ... Entrambe le ciotole hanno un rivestimento a base di roccia vulcanica. in fondo sempre di crateri parliamo. Intanto qui abbiamo la Parabola di Nanni Valentini rivisitata. Avevo bisogno di una forma semplice, adatta a evidenziare la figura (il disegno) lasciando alla materia una funzione di mero supporto alla figura stessa. La Parabola di Valentini mi è sembrata particolarmente adatta allo scopo. Corpo in gres a grana fine con aggiunta un po' di refrattaria a grana media per dare struttura. ingobbio: non presente. Rivestimento: un velo di irabo su tutta la superficie, interna ed esterna, composto da due parti di trachite del Cimino e una di cenere di legna. All'interno uno smalto saturo di ferro. Unghiata di tufo sul bordo. La seconda ciotola, il mio Cratere, ribalta l'ordine delle priorità rispetto alla Parabola ed esalta la materia rispetto al disegno. Si tratta di una forma che ho già realizzato e comincio a sentirla mia.
Corpo: gres refrattario a grana media ricco di ferro. Ingobbio: hakeme (pennellate a spirale dentro e fuori. Rivestimento: un velo di irabo su tutta la superficie, interna ed esterna, composto da due parti di trachite del Cimino e una di cenere di legna. Solo all'interno una passata di smalto sempre a base di trachite del Cimino (qui c'è anche quarzo). Ditate di Dry Yellow Ochre. Qualche giorno fa un lettore mi ha chiesto informazioni sul processo di macinatura delle rocce. La macinatura, ovviamente, serve per rendere il materiale lapideo adatto alla produzione degli smalti; il prodotto finale è una polvere sottile con una granulometria che, nella letteratura ceramica, viene solitamente espressa in mesh: si tratta del numero di maglie (del setaccio) presenti per un pollice di lunghezza. Una granulometria di 80 mesh corrisponde ad una dimensione massima dei granuli di 0,177 mm; di 200 mesh a granuli di 0,074 mm. La mia strumentazione non mi consente macinare troppo finemente il materiale, credo di attestarmi proprio tra mesh 80 e mesh 200 (una piccola percentuale è anche più grossolana) ma va bene così, mi piace la tessitura non troppo liscia che questo tipo di materiale produce. Devo anche dire che, una volta composto lo smalto si può ripassare nel mulino raffinandolo ulteriormente. Senza scendere in dettagli, accenno solo al fatto che la granulometria dei materiali che compongono lo smalto incide sulle caratteristiche non solo fisiche ma anche chimiche dello smalto. I componenti dello smalto, infatti, durante la cottura si scompongono iper fornire gli ossidi che poi si ricompongono generando lo smalto. Intuitivamente si può comprendere come questo processo sia più o meno facilitato dalla dimensione dei componenti di partenza. Tornando al mio modo di macinare. Se il materiale è tenero, come quello nelle foto sopra - pomice - già durante questa parte del lavoro si produce, almeno parzialmente, polvere sufficientemente sottile. Tutto il resto va nella giara del mulino. Il "mulino a palle" è composto da una giara che contiene delle sfere di materiale molto duro (sempre alluminosilicati); nella giara, mischiata alle sfere, si versa la sabbia da macinare e l'acqua; quindi si fa girare la giara per alcune ore provocando la frantumazione dei grani di sabbia ad opera delle sfere. Si tratta di un lavoro piuttosto faticoso alla fine del quale riesco a produrre tra 1,5 kg e 2 kg di polvere. Inizialmente in forma liquida. Ancora qualcosa non passa attraverso il setaccio. Mischiata tra la pomice c'era qualche pietra di ossidiana, più dura che ha resistito, ma anche granelli grossolani di pomice. Li scarto e li recupero per la prossima volta. A seguire una ciotola di caolino di Lipari appena macinato Una volta asciutto il prodotto si presenta così, come la polvere di trachite del Cimino, nelle foto sotto;
la roccia più dura con cui ho a che fare. Non inganni l'aspetto di quelli che sembrano sassi, in realtà sono solo grumi residuo della massa umida, si frantumano facilmente tra pollice e indice; bisogna solo avere l'accortezza di filtrare lo smalto prima di usarlo. Un celadon del Monte CiminoSmalto di cenere di legna di pino (lavata); roccia del Cimino (probabilmente una trachite); quarzo.
Il colore, tenue, è quello del celadon. Un tenero celadon che ricava l'ossido di ferro (agente colorante) sia dalla roccia che dalla cenere (la legna di pino è tra quelle che contengono più ossido di ferro). Le colature sono quelle tipiche degli smalti di cenere. Il quarzo, un 20% circa, l'ho aggiunto semplicemente per mancanza di coraggio. Lo dico perché adesso sto cercando di ricordare, senza riuscirci, il motivo che mi ha impedito di utilizzare una semplice formula 50/50 roccia-cenere; allora devo pensare che avessi bisogno di inserire il materiale nuovo (la trachite) tra almeno due materiali conosciuti (cenere e quarzo). Questa scelta, in qualche modo, deve avermi rassicurato. Naturalmente tutto ciò accade per la pigrizia; altrimenti avrei preparato i provini per una linear blend (una serie di miscele variabili tra due materiali) e, successivamente, per testare una composizione a tre materiali. Insomma quello che si deve fare in caso di sperimentazione di un muovo materiale. Ok, allora farò così. Intanto, per essere chiari, trovo questa ciotola bellissima. Due pezzi simili. Ne avevo già fatto uno di questo genere tempo fa ma un giorno, esposto ad un mercato, lo hanno fatto cadere; ci sono rimasto male e ho voluto rifarlo. Già che c'ero l'ho riprodotto in due versioni. Le due ciotole rappresentano una delle più sincere espressioni del mio modo di fare ceramica. Ciotola ALa prima è più o meno una replica dell'originale, per quanto sia possibile riprodurre a memoria un oggetto volutamente irregolare. Si tratta di una grossa ciotola bruno-nerastra, ruvida e slabbrata, decorata all'interno da una pennellata di ingobbio bianco che, all'esterno, produce solo colature. All'interno ci sono anche macchie giallastre. Lo smalto, sottilissimo, impercettibile, è quello che chiamo "corano" ed è composto semplicemente da cenere di legna, feldspato e quarzo. Ciotola BNella seconda versione ho sostituito l'ingobbio tradizionale con porcellana. Si tratta di una modalità nuova, per me, che ho utilizzato anche in un vaso della stessa infornata (vedi foto del 27 agosto 2020 sulla pagina Instagram di Cono9 "amarvicio"). Qui lo smalto è uno Jun dato sempre piuttosto sottile, non sottilissimo, ma abbastanza per restare trasparente e non riuscire a sviluppare il suo tipico colore azzurro, ad eccezione di un pallido alone dove un po' meno sottile (temo che in foto questo effetto cromatico non appaia).
Il ritiro in cottura della porcellana, decisamente maggiore rispetto a quello dell'argilla del corpo, produce una marcata screpolatura. Quasi una pelle squamosa. Il 3 e 4 agosto, di lunedì e martedì, ho cotto; era tanto che non accendevo il forno; tutt'intorno è cresciuta erba alta e una piccola edera spuntava dai mattoni della base e quando l'ho aperto per caricarlo, dentro c'era un nido di vespe vuoto, forse risalente all'estate scorsa, Il tempo fa queste cose mentre noi siamo distratti. Insomma, ho fatto un forno; un forno pieno solo di pezzi rivestiti di smalto shino, la versione occidentale dello smalto shino.
Quindi, ho scelto quattro diverse ricette, tutte nell'area del traditional shino, escludendo per il momento altre tipologie come il cosiddetto carbon trap o l'high alumina. Ovviamente per traditional shino si intende sempre la versione occidentale dell'originale giapponese. Nella scelta, fatta tra le decine di ricette proposte da vari ceramisti e studiosi, ho cercato di cogliere i diversi aspetti che mi interessava studiare: - avere una base semplice; - valutare ricette più complesse; - studiare gli effetti dei diversi tipi di feldspato (feldspato Na, sienite nefelina, spodumene)i); - studiare gli effetti di viveri tipi di argilla (ball clay, caolino, terracotta); - verificare le interazioni con diversi tipi e colori del corpo sottostante; Infine, ho condotto la cottura secondo una specifica scheda, peculiare per questo tipo di smalto, che differisce da quella che adotto solitamente. Un passo alla volta cercherò, nei prossimi post di raccontare cosa è uscito da questo forno. Intanto, le foto di alcuni dei pezzi di questa infornata sono pubblicate sul profilo Instagram di Cono9 (profilo gestito, come detto in precedente post, da Amarvicio). Gli ossidiSegue un elenco dei principali ossidi fondenti, coloranti e opacizzanti.
Scriverlo è stato molto noioso. Non credo che leggerlo lo sia di meno. Ma spero che possa essere un utile riferimento per consultazioni puntuali.
Poi, col tempo, magari tornerò su questi ossidi per ampliare, approfondire, ed eventualmente, correggerne le descrizioni. Col tempo... Col tempo magari comprenderò anche se tutto ciò ha un senso. COMPONENTI DELLO SMALTO
COMPOSIZIONE DELLO SMALTOLa composizione chimica degli smalti è utile per studiare smalti già cotti (es. smalti antichi), per studiare nuove ricette di smalti e per modificare ricette note.
Mi rendo conto che non si tratta di un modo immediato di vedere uno smalto e sicuramente non può sostituire le classiche ricette, anche perché, come detto, gli smalti li componiamo con feldspati, argille, fritte ecc. e non con i singoli ossidi, ma col tempo mi sono reso conto che, quando è nota, la composizione chimica aiuta a comprendere la natura dello smalto con cui abbiamo a che fare consentendoci di prevederne alcune caratteristiche oppure di modificarne comportamenti che non vanno bene. Riporto qui di seguito la tabella con la composizione in ossidi di alcuni smalti scelti senza un criterio prestabilito; ciò che interessa è solo l'osservazione di generiche composizioni. In questa tabella non è inserita la cosiddetta L.O.I. (loss on ignition) che si riferisce alla quantità in peso del materiale «perso» durante la cottura (tipico il caso del carbonio). Cenere di legno 70 Terracotta 30 è un irabo composto, ovviamente, dal 70% di cenere di legna e dal 30% di un'argilla fusibile. Chiaramente la composizione chimica di questo smalto può variare anche sensibilmente data la forte variabilità dei due ingredienti. Matura intorno a Cono 9. 4:4:2 Modificato è uno smalto basato sulla classica formula 4:4:2 dello smalto composto da 4 parti di feldspato, 4 di cenere e 2 di ball clay. Matura tra Cono 9 e 10. Celadon Yue è uno smalto cinese del X secolo di cui non è nota la composizione in termini di ingredienti. Le analisi di laboratorio ne hanno fornito la composizione chimica. Smalto foto ad alta temperatura. Nuka (ricostruito) è la ricostruzione di un celebre smalto formulato da Shoji Hamada. L'originale è composto da una parte di Terayama Stone; una di cenere di legna e una di cenere di crusca di riso. La ricostruzione prevede la sostituzione della Terayama Stone con feldspato di potassio e la cenere di crusca di riso con cenere di paglia o direttamente con silice. Matura a Cono 10. Composto eutettico è un composto di tre ossidi puri (vetrificante, refrattario e fondente) che presenta il punto più basso di fusione. Anche questo composto è riferito alle alte temperature e, pertanto, come fondente prevede l'ossido di calcio. Inizia a fondere a 1170°C. Trasparente lucido a Bassa Temperatura: è un generico smalto da terracotta il cui fondente principale è una fritta toracica di calcio. Fonde tra Cono 04 e 02. Come già detto, di norma non si realizza uno smalto unendo gli ossidi puri ma materiali che li contengono e che hanno il vantaggio di essere meno costosi, meno pericolosi da maneggiare e più facili da reperire. A titolo di esempio:
Alcuni minerali usati nella preparazione degli smalti forniscono più di uno dei componenti richiesti. Ad esempio:
SMALTI E VERNICI
Nel prosieguo mi riferirò a smalti e vernici adatte alle alte temperature. Va detto, però, che i principi che regolano il funzionamento di uno smalto sono sostanzialmente gli stessi sia per le alte che per le basse temperature. Ciò che cambia tra smalti da gres e da porcellana cotti ad alta temperatura e smalti da terracotta cotti a bassa temperatura sta nel diverso rapporto che si crea tra rivestimento e corpo argilloso alle diverse temperature. Gli smalti non vengono realizzati componendo gli ossidi allo stato puro, benché ciò sia teoricamente possibile, perché gli stessi ossidi si possono trovare in maniera molto più pratica ed economica, all’interno di rocce, argille, ceneri, quindi, sostanzialmente, in materiali di più facile reperibilità e con minori rischi per la salute. Inoltre, l’uso di materiali naturali e dei loro derivati discende da lunga tradizione storica. Ancora oggi, le materie prime sono in gran parte di provenienza naturale (rocce, argille), sia per piccoli laboratori che per produzioni industriali; ciò che cambia sono le modalità estrattive e i processi di lavorazione che forniscono materiali più o meno raffinati. Quando si parla di ingredienti delle ricette degli smalti ci si riferisce a materiali di origine minerale come le rocce (argille, feldspati, quarzo, carbonato di calcio, pomici …) o a materiali naturali (ceneri di legna, di paglia …) ma, in realtà, è con gli ossidi che li compongono con cui avremo a che fare nella produzione degli smalti. È utile avere sempre presenti tutti e due i punti di vista. Infine, oltre ai tre componenti di base, negli smalti ne vengono introdotti altri per modificarne l’aspetto, la superficie, il colore, ecc. |
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