Daniel Rhodes negli anni '70 ha scritto un testo didattico dal titolo Pottery Form. Si tratta di un testo notevole per la semplicità con cui trasmette le basi necessarie a comprendere e a gestire le forme delle tipologie più comuni della ceramica funzionale. Ci tengo a sottolineare i due obiettivi: comprensione e gestione. Rhodes parla con chiarezza, scompone i pezzi negli elementi costitutivi e ciononostante riesce a dare la visione d'insieme dell'oggetto. Lo fa con un linguaggio discorsivo, riducendo all'essenziale gli argomenti. Un modo di raccontare il lavoro di realizzazione di ciotole, piatti, brocche che è ben rappresentato dalle foto in bianco e nero che ritraggono pezzi in ceramica nuda, illuminati in modo da evidenziare, con i chiaroscuri, le forme e i volumi; foto silenziose ed eloquenti. Purtroppo in rete, a parte la copertina, non ho trovato publicate immagini del contenuto e nemmeno io posso pubblicare quelle dalla mia copia del libro; che sono protette da copyright. Non so se oggi esistano testi così efficaci. Quello che Rhodes riesce a fare è potenziare gli elementi fondamentali del lavoro ricordando, contemporaneamente, al lettore, che il ceramista, l'apprendista, ha la responsabilità di fare proprie le informazioni e svilupparle in un linguaggio personale. E' probabile che l'efficacia del testo si esplichi particolarmente se chi lo legge ha già un'idea del lavoro con la ceramica. Per esempio, a proposito del piede delle ciotole, Rhodes dice:
Ecco, una caratteristica del suo modo di spiegare è che non pone le questioni adottato un punto di vista quantitativo, non fornisce misure o proporzioni ma sempre elementi qualitativi; si preoccupa, insomma, di come le cose appaiono all'occhio. La decisione sulla stabilità della ciotola; la scelta sul punto esatto in cui la curva è compiuta e, quindi, può essere interrotta senza danno estetico, sta a chi realizza la ciotola. All'occhio e alla sensibilità del ceramista. La responsabilità delle scelte non può averla il maestro. Chi insegna deve fornire i criteri di scelta e mi sembra che Rhodes lo faccia. Un testo degli anni '70 che, secondo me, ancora funziona. * Traduzione approssimativa: Ciotola. Questo tipo è detto "ciotola di riso". Il profilo è una "curva S" piuttosto rigida. Il piede è abbastanza largo per garantire la stabilità ma abbastanza stretto da non interrompere la curva del fondo. Tutto questo per dire che Rhodes, nel suo testo, presenta, sinteticamente, quattro profili di riferimento per le ciotole. In particolare quelle che gli orientali chiamano ciotole da riso, ovviamente per l'uso a cui sono normalmente destinate.
I quattro tipi sono:
La frase del testo di Rhodes, scelta come esemplificativa di un modo di presentare le cose, non è stata scelta a caso. Nell'ultima infornata volevo elaborare una forma. Quando dico elaborare intendo, in modo piuttosto letterale, lo sviluppo di un'idea che già esiste; in questo caso non invento ma faccio mia una forma. Ero interessato a una forma di ciotola che fosse più tozza - mi viene da dire più tarchiata - quindi bassa rispetto alla larghezza, col piede che segue questa tendenza. Non è semplice perché quell'appello a non interrompere la curva con cui il fianco della ciotola va a chiudere sul piede mantiene una sua validità. Quindi per arrivare ad un risultato soddisfacente ho dovuto prendere iniziando da carta e matita. Quello che ne è venuto fuori è una forma che ho chiamato a bacinella. Di seguito l'elaborazione grafica della mia bacinella con la frase di Duke Ellington (sostituendo looks a sounds) con cui ho deciso quale fosse la forma giusta per me: "If it sounds (looks) good, it is good" L'esito del lavoro lo si può osservare nel post precedente: Forno di maggio - Disamina 3. Ovviamente, rispetto a quanto fatto nel post citato, dove parlavo principalmente della pelle della ciotola: del suo rivestimento, dell'aspetto finale, qui voglio sottolineare il profilo, la forma pura, le curve e i relativi raccordi. Per questo, di seguito riporto le foto delle stesse ciotole del post precedente ma ritratte nude, prima della cottura. Qui, insomma, cerco di raccontare il mio modo di procedere mostrando i passaggi chiave del processo. Tra le notazioni appuntate sullo schizzo ce ne sono giusto un paio da evidenziare:
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Nella Disamina 2 del forno di maggio scorso ho ripreso a parlare dell'Irabo. Ho riportato i link di vecchi post sullo stesso argomento e ho cercato di inquadrare l'ambito dello studio che sto portando avanti. Quindi... Il passo successivo è: cosa accade se modifico le condizioni al contorno? Se utilizzo, per il corpo da rivestire col mio smalto irabo, un gres carico di ossido di ferro (tanto da risultare nero in cottura) come reagisce questo smalto? Se, invece, sotto lo smalto irabo inserisco un altro smalto? Irabo su corpo scuroIl corpo della ciotola è realizzato con un gres chamottato, piuttosto ruvido, carico di ossido di ferro.
C'è qualche chiazza di ingobbito bianco; sembrano macchie del tempo o sporcizia, dipende da chi osserva. Lo strato di smalto è molto sottile. Ancora più sottile di quanto già fatto con le ciotole presentate nella precedente disamina: praticamente un velo. Infine, ci sono chiazze di iron stain, difficili da cogliere in foto, se non a contrasto col bianco-giallastro dell'ingobbio: macchie del tempo o sporcizia, dipende da chi osserva. Per apprezzare l'effetto dello smalto bisogna notare l'aspetto vagamente metallico della superficie del pezzo, evidente soprattutto a contrasto col fondo del piede che non è smaltato e appare, infatti, più terroso sia nel colore (tendente al bruno rossastro) che nella consistenza superficiale.
Sono ciotole che io stesso faccio fatica a utilizzare per alimenti, anche se non credo che ci siano particolari problemi ma, certo, questa superficie arida e scura e molto ruvida non invita in questo senso; ciononostante ne subisco il fascino. Mi piacciono e, credo, continuerò a lavorarci. Irabo su smalto TKTGA proposito dello smalto che chiamo TKTG ho già detto QUI
Quindi si tratta di uno smalto terroso, non particolarmente lucido e vetroso.
Ci sono i soliti schizzi di iron stain, vari e in diverse formulazioni, gli smalti non hanno spessori uniformi, il tutto conferisce una tessitura naturale come roccia lavorata dagli agenti atmosferici o legno in disfacimento. Materia organica sul suolo. Le leggere irregolarità della forma della ciotola aiutano l'effetto. La superficie, rispetto al pezzo sopra, è più morbida e, seppure il colore anche qui non è particolarmente invitante, rassicura la presenza più evidente di un rivestimento del corpo argilloso. Lo smalto sottostante, il TKTG, vira dal rosso cupo al marrone, dove lo strato di irabo sopra è molto sottile, dove, invece, quest'ultimo è leggermente più spesso forma delle goccioline, come di sudore, dal colore verdastro. Tutta la parte giallastra ... chissà! In situazioni così poco pulite, qualche volta è complicato riuscire ad interpretare tutto. Bisogna accettare anche questa parte. ... Forse ho usato anche un po' di irabo corretto con ossido di Titanio? Oppure ho dato una pennellata di Dry Yellow Ochre? Certo, sarebbe strano non averlo riportato sulla scheda. Però, proprio rileggendo la scheda, trovo annotato un particolare: questa ciotola, nel forno, stava accanto ad un mucchietto di carbone, messo lì proprio per vedere l'effetto che fa... Però mi sembra strano che la vicinanza con il carbone dia questo giallastro. Non so... Sono oggetti difficili da apprezzare, me ne rendo conto, a me piacciono e li considero punti di arrivo, non di partenza; certo alcuni aspetti vanno migliorati ma sento che il lavoro su questo genere di smalto inizia ad essere compiuto.
Probabilmente il mio occhio è condizionato dal fatto che questi prodotti sono frutto del mio studio e del mio lavoro; mi appartengono. So che, se pure cerco di spiegare, difficilmente riesco a convincere - per così dire - l'occhio di un osservatore esterno, il quale, molto probabilmente, valuta la ciotola di per se, pensandola come possibile oggetto da maneggiare e vedere nel quotidiano tra altre stoviglie, sulla tavola, tra le mani. Mentre bevi un te o servi olive non pensi a cosa c'è dietro la produzione di un oggetto; è così, a meno che... Su questo punto ci devo riflettere ancora un po' |
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