Lo so che la chimica può risultare poco affascinante però alcuni concetti di base sono poi utili a spiegare fenomeni con i quali abbiamo a che fare. E quindi, secondo me, è bene conoscere certi meccanismi.
Allora vediamo un po’, se entriamo con un microscopio in una palla di argilla scopriamo che i “granelli” che la compongono sono delle minuscole lamelle. Gli spessori di queste lamelle variano dalla millesima parte di un millimetro fino alla milionesima parte di millimetro. Questi granelli sono a loro volta composti da “pacchetti elementari”, i minerali dell’argilla (fillosilicati). Entrando ancora più dentro scopriamo che i “pacchetti elementari” sono, a loro volta, composti dalle molecole. Va bene, forse così è troppo. Torniamo alle lamelle, queste hanno una caratteristica fondamentale: presentano una carica elettrica (negativa) su tutta la superficie; in realtà è una caratteristica che possono avere anche granuli più grandi, ma proprio le dimensioni microscopiche fanno si che questa carica elettrica diventi predominante nelle interazioni dei granuli tra loro e con l’acqua. Ecco, la molecole dell’acqua (la famosa H2O) non ha una forma simmetrica e quindi presenta un polo positivo ed uno negativo (dipolare). Così succede che la parte positiva della molecola d’acqua sia attratta dalla superficie delle lamelle che compongono l’argilla, che ha carica negativa. Si tratta di un legame elettrico, molto forte, talmente forte che lo strato d’acqua a contatto con la superficie delle lamelle è considerato, di fatto, parte integrante della struttura argillosa ed è detto: acqua adsorbita; allontanandosi dalla superficie delle particelle i legami diventano via via più deboli e si parla di acqua libera o acqua interstiziale. L’essiccatura è la fase della cottura in cui avviene l’espulsione dell’acqua libera dal reticolo cristallino. A temperatura ambiente ed in condizioni di umidità normali l’argilla, anche quando è secca, conserva sempre nel suo interno una certa quantità di acqua libera, detta acqua igroscopica che sparirà completamente durante la cottura. L’espulsione dell’acqua adsorbita comporta variazioni della struttura dell’argilla più profonde e ne parliamo nel prossimo post sulla Trasformazione Ceramica. Veniamo all’essiccatura. Innanzitutto, come ovvio, è una fase che riguarda la cottura di pezzi crudi e, quindi, il I fuoco e la mono-cottura. Esistono appositi essiccatori ma raramente vengono utilizzati nei laboratori di ceramisti, sono piuttosto attrezzature industriali e posso trascurarli. Per quello che mi interessa discutere, alla fase finale di essiccatura sarà deputato il forno. Ora abbiamo messo nel forno i nostri pezzi completamente essiccati, diciamo a “durezza osso”; in realtà, anche quando il pezzo appare secco, può contenere ancora molta acqua; oltre all’acqua adsorbita ci sarà sicuramente ancora acqua libera, infatti, pure dopo l’essiccatura, a causa della natura igroscopica dell’argilla, questa tenderà ad assorbire acqua dall’aria. Così, se resta da rimuovere anche solo il 2-3% d’acqua libera, dobbiamo tenerne conto perché si tratta di un processo delicato a causa della forte espansione volumetrica che subisce l’acqua quando evapora. Qui vanno fatte due considerazioni: una su grande scala, che riguarda tutto il forno; l’altra, molto più importante, riguarda l’interazione tra l’acqua libera, che diventa vapore, e l’argilla in cui è contenuta. Sul primo aspetto: il processo di essiccatura produce un’atmosfera umida all’interno del forno e richiede, quindi, una adeguata ventilazione. Nei normali forni da laboratorio la ventilazione che si instaura naturalmente è sufficiente ad evitare problemi. L’unica accortezza è quella di evitare la formazione di sacche d’aria chiuse, ad esempio troppi pezzi uno dentro l’altro chiusi sopra da altri pezzi che fanno da coperchio. È sufficiente che l’aria possa scorrere liberamente attorno a tutti i pezzi in cottura. Sul secondo aspetto: la faccenda è più complessa. L’acqua scaldandosi diventa vapore e il vapore presenta un volume di centinaia, anche migliaia di volte, superiore a quello che aveva allo stato liquido. Il punto è proprio questo: mano a mano che si forma, il vapore deve poter uscire dal corpo argilloso dove non può espandersi liberamente. Per uscire deve districarsi dentro il reticolo composto delle lamelle (i granuli che compongono l’argilla) e, quindi avrà bisogno di un certo tempo: questo processo è l’essiccatura. Trattandosi di un fenomeno legato all’evaporazione dell’acqua libera siamo in un intervallo compreso dalla temperatura ambiente fino a 100° – 120°C. I fattori determinanti sono: la dimensione dei granuli di argilla: un’argilla a grana fine (ad esempio un’argilla che contenga bentonite o ball clay) richiede più tempo per liberare il vapore; lo spessore dei pezzi: direi che è intuitivo comprendere che maggiori sono gli spessori e più lungo è il tempo impiegato dal vapore a fuoriuscire; la velocità di salita della temperatura nel forno, cioè il fattore tempo. Se in questa fase della cottura la velocità di salita delle temperature è troppo elevata, la quantità di vapore che si genera è tale da non riuscire ad essere espulsa dal reticolo argilloso, ne consegue che, intrappolato, non potrebbe espandersi e produrrebbe forti sovrappressioni con conseguente distacco di pezzi di argilla. Rallentando la velocità di riscaldamento saranno a rischio solo le argille più sottili o i pezzi con spessori maggiori. Andando ancora più lentamente forse si avranno solo delle fratture. Ancora più lentamente e si avranno solo delle micro fratture (che comunque indeboliscono il pezzo e favoriscono danni nelle fasi successive o nell’uso del pezzo). Ancora più lentamente e la cottura potrebbe andare bene. Infine, un ulteriore rallentamento darà i margini per ottenere un comportamento corretto e stabile. Come succede quasi sempre, non è possibile fornire numeri e formule. La scheda di cottura, la durata giusta per la fase di essiccatura, si può individuare solo sperimentando. Ci sono troppe variabili perché si possano stabilire delle regole a carattere generale. Comunque, gli elementi più importanti da considerare sono: lo spessore e le dimensioni dei pezzi, la densità con cui sono caricati nel forno, il contenuto d’acqua dell’argilla e la sua capacità di espellerla (grana più o meno grossolana) e il flusso d’aria nel forno che rimuove il vapore che si genera. Tanto per fare qualche esempio: una scultura di grandi dimensioni può pesare decine o anche centinaia di chili e può richiedere settimane o addirittura mesi di asciugatura in atmosfera protetta e fino a due, tre giorni di di cottura (gran parte dei quali passati alla temperatura di 100°C. Pezzi più leggeri come le ciotole possono essere asciugati in speciali camere ad aria forzata in alcuni minuti e cotti in poche ore. I In ogni caso, quando si sarà compresa l’importanza di un’accurata essiccatura, dell’aerazione del forno, della capacità dell’argilla di rilasciare l’acqua e della densità di caricamento del forno, allora si avranno le capacità per aggiustare le cose per arrivare a buon fine. In questa fase non è importante la regolarità della cottura ma la velocità di risalita della temperatura e l’atmosfera. Una postilla. Ho detto che l’essiccatura riguarda la cottura dei pezzi crudi, quindi I fuoco o monocottura; in realtà c’è un aspetto che tocca anche il II fuoco, infatti, bisogna tenere conto che il biscotto assorbe acqua durante la smaltatura; anche quest’acqua non può essere portata fuori troppo velocemente. Un riscaldamento troppo rapido, che provochi la repentina evaporazione dell’acqua contenuta nel biscotto, può causare il distacco dello smalto dovuto al vapore che si forma al suo interno e che uscendo troppo rapidamente trascina via pezzi di smalto che, a questo punto, non ha ancora iniziato il processo maturazione. Stesso discorso per un forno in cui si viene a produrre un’atmosfera carica di umidità durante la prima fase della cottura, questa può bagnare il pezzo già completamente secco e produrre lo ste.
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
AutoriVesuvioLab Archivio
Ottobre 2023
Categorie
Tutti
|