Il cuore nero
Le argille sono il prodotto di una complessa trasformazione (pedogenesi) operata attraverso una serie di processi fisici, chimici e biologici che parte dalla roccia madre.
Il suolo propriamente detto non è semplicemente il risultato dello sminuzzamento di un ammasso roccioso affiorante dovuto, ad esempio, ad agenti atmosferici. I fenomeni fisici possono arrivare al più a produrre granelli della frazione di un millimetro, composti da un solo cristallo, ma non possono andare oltre.
A questo punto devono entrare in gioco trasformazioni di tipo chimico e/o biologico, in grado di modificare la composizione chimica e/o riorganizzare la struttura cristallina, generando così i cosiddetti minerali secondari.
Le argille sono minerali secondari e, per formarsi, hanno bisogno di trasformazioni chimiche.
La componente biologica, invece, porta all’interno del suolo resti di vegetazione, organismi animali, batteri e altri materiali organici e quindi un contenuto di materia carboniosa. Nelle argille naturali si stima una componente organica tra lo 0 e il 10%. Il colore grigio delle ball clay, ad esempio, è dovuto proprio alla componente carboniosa.
Gli impasti, anche quelli commerciali, che normalmente utilizziamo nelle nostre produzioni, contengono spesso, almeno in parte, materiale naturale e quindi, dobbiamo sapere quali sono le conseguenze all’interno del forno, dove, durante la cottura, la materia organica viene eliminata.
La decomposizione delle sostanze organiche avviene tra i 400° e i 600°C;
il che vuol dire che una parte del contenuto delle nostre argille, la componente organica, brucia trasformandosi, se le condizioni lo permettono, allo stato gassoso;
i gas prodotti sono l'anidride carbonica e il vapore acqueo e devono essere espulsi.
Ulteriore effetto della combustione della materia carboniosa è una sorta di microporosità che questa materia, bruciando, lascia nella matrice argillosa.
In condizioni di buona ventilazione del forno, quindi in ambiente ben ossidante (e in assenza di vetrificazione superficiale) si produce, come detto, vapore acqueo e anidride carbonica, con cui vengono eliminati gli atomi di carbonio (C) fino a che non ne resta traccia all’interno del corpo ceramico;
perché il processo avvenga in maniera completa è necessario dare modo e tempo all’ossigeno di penetrare all’interno del corpo argilloso in cottura, di reagire con la materia organica e di fuoriuscire in forma di H2O o di CO2;
quindi, oltre ad un’adeguata ventilazione all’interno del forno che fornisca ossigeno e elimini i gas prodotti, serve il tempo perché tutto il processo si possa compiere in maniera completa;
inoltre bisogna stare attenti ad evitare che gli ingobbi (o gli smalti in caso di monocottura) più fini non fondano a basse temperature andando a sigillare la superficie troppo presto poiché ciò potrebbe causare sbollaure quando gli ultimi gas rimanenti trovano le vie di fuga bloccate.
Una cottura non corretta può provocare il cosiddetto “cuore nero” della ceramica e cioè la formazione, all’interno delle pareti del pezzo, di residui di carbonio provenienti dalla decomposizione termica della materia organica contenuta negli impasti che non vengono correttamente smaltiti;
è detto così perché la sua formazione è visibile all’interno delle pareti di un pezzo dove si crea un nucleo nerastro;
le cause sono:
- il ciclo di cottura troppo breve;
- l’eccessivo spessore delle pareti dei manufatti (ovviamente in relazione al tempo di cottura);
- la carenza di ossigeno e di adeguata circolazione d’aria durante la fase di combustione della materia organica;
- l'uso di particolari smalti che danno un notevole apporto di materia carboniosa e riguarda, quindi, i pezzi già smaltati (monocottura) (ai nostri fini non è un punto rilevante).
- riduzione della resistenza meccanica del materiale;
- rigonfiamenti;
- deformazioni;
- deterioramento delle caratteristiche tecniche ed estetiche degli smalti.
- evitare l'uso di materie prime (argille) che contengono materiale organico in proporzioni elevate;
- ottimizzazione della scheda di cottura evitando l'instaurarsi di un'atmosfera riducente in questa fase della cottura e modulando i tempi (allungandoli) in proporzione alle dimensioni, ed in particolare agli spessori, dei pezzi in cottura;
- garantire una efficace ventilazione all'interno del forno evitando di caricarlo in modo eccessivo; garantire, insomma, una buona circolazione dell'aria intorno ai pezzi.
A titolo indicativo, nel nostro forno a gas, per la cottura di vasellame (ciotole, piatti, vasi, ecc), tra 400° e 600°C, facciamo salire la temperatura tra 100°C/h e 150°C/h.
Solo per completezza devo dire che esistono alcune circostanze in cui il “cuore nero” è considerato benefico ma credo siano poco interessanti per noi; hanno a che fare con l’incremento del grado di vetrificazione dell’argilla in particolari condizioni di cottura e con l’incremento della resistenza meccanica in fase di congelamento.
Sempre a titolo di completezza registro che alcuni studi inseriscono anche il ferro, in un ridotto stato di ossidazione, come concausa della formazione del “cuore nero”.
Gli ossidi di ferro ridotto sono FeO e Fe304.
Oltre alla carbonizzazione di materiale organico, quindi, andrebbe considerata anche la riduzione di Fe203.
Sull'argomento esistono studi piuttosto avanzati ma si entra in questioni che rilevano dal punto di vista della comprensione teorica del processo ma, di solito, hanno ricadute pratiche più sulle produzioni industriali o altamente tecnologiche che sulle applicazioni come quella che riguardano la maggior parte di noi.
A chi fosse interessato posso fornire i primi elementi bibliografici.