Sperduto tra i boschi del Kyushu, la più meridionale delle quattro grandi isole del Giappone, c'è un piccolo villaggio di montagna: Onta;
un luogo che sembra fuori dal mondo, quanto di più distante si possa immaginare dal moderno Giappone delle grandi metropoli, dei grattacieli, dei treni super veloci, della tecnologia avanzatissima; un luogo lontano 300 anni dal ritmo frenetico del resto del paese, un antico centro di produzione di ceramica artigianale che ha mantenuto integri il proprio sistema di vita e i metodi di lavoro attraverso i tre secoli dalla sua fondazione. Onta fu scoperta e portata alla notorietà da Soetsu Yanagi che qui ritrovò tutti gli elementi tipici del movimento mingei: produzione artigianale di ceramica funzionale per l'uso quotidiano, fattura di qualità, robusta e durevole, prezzi ragionevoli ed un forte legame al territorio. Yanagi raggiunse, per la prima volta, Onta nel 1931 dopo aver visto alcuni pezzi tipici di questa produzione in vendita in un negozio di Fukuoka. Arrivò a piedi perché all'epoca praticamente non c'erano strade asfaltate che raggiungessero il villaggio. Onta fu fondata nel 1705 da tre ceramisti: Yanase, Sakamoto e Kuroki, che individuarono, in questo luogo, la presenza degli elementi necessari alla produzione della ceramica: l'argilla, naturalmente di ottima qualità e facile reperibilità; i boschi che avrebbero garantito la legna per alimentare i forni; un fiume che avrebbe fornito l'acqua e l'energia per macinare l'argilla. I tre diedero vita ad un sistema unico per la produzione della ceramica che mantiene ancora oggi inalterate le proprie peculiarità. Oggi, a Onta, vivono dieci famiglie, ognuna con un proprio laboratorio, un proprio forno ed un negozio, tutte discendenti direttamente dai tre fondatori, che lavorano rispettando le stesse regole di 300 anni fa; le conoscenze sull'arte della ceramica vengono tramandate di padre in figlio secondo uno schema sociale di tipo patrilineare; ad ogni famiglia è consentito il possesso di soli due torni in laboratorio, a causa della produzione limitata di argilla, questo significa che quando il nipote è in grado di lavorare al tornio suo nonno si deve ritirare; si tratta di un limite che ha consentito e consente di preservare il territorio e la materia prima per le generazioni successive; le donne hanno un ruolo di supporto, di fatto conducono un lavoro molto duro che riguarda la preparazione dell'argilla, la trasportano dal luogo di macinazione alle vasche dove viene disciolta, ai trogoli fino ai forni di essiccazione; ad Onta, tutt'oggi non vengono impiegati corrente elettrica e utensili azionati a motore in nessuna delle fasi produttive: per la macinazione dell'argilla si usa il kara-usu, un meccanismo, composto da una trave di legno imperniata al centro ad un fulcro che ne consente l'oscillazione come fosse un'altalena, ad un capo è fissata una sorta di secchio di legno dall'altro capo c'è un martello: il secchio è riempito gradualmente dell'acqua corrente del fiume, riempiendosi si abbassa, quando è in basso si svuota rapidamente, consentendo la caduta del martello sul cumulo di argilla da macinare; il kara-usu emette un tipico rumore: un lungo cigolio seguito da un colpo secco, l'insieme di questi meccanismi, costantemente in funzione, scandisce il ritmo in tutto il villaggio da tre secoli ed è stato codificato tra i cento suoni tipici del Giappone. Anche la tecnica usata al tornio è un elemento caratteristico, mentre i moderni ceramisti centrano una palla di argilla sufficiente a tirare su un pezzo nella sua interezza, qui iniziano con la quantità di argilla sufficiente a realizzare la base inferiore del pezzo al quale aggiungono un rotolo di argilla per foggiare la parte superiore. Questo metodo è detto neritsuke ed è un ibrido tra la lavorazione al tornio ed il colombino. È una tecnica che richiede particolare maestria nel gestire la velocità della ruota del tornio che, naturalmente, è a pedale. L’argilla di Onta è molto liscia, dal colore giallo bruno, che in cottura vira sul marrone scuro per l’alto contenuto di ferro; insieme all’ingobbio, che in cottura diventa color crema chiaro, Ontayaki è molto apprezzata per le stoviglie perché, si dice, esalta il colore del cibo. La produzione prevede diversi stili decorativi tra i quali: chatter marking o tobi-kanna, una tecnica realizzata mediante l'uso di una lama metallica flessibile che salta (quasi vibra) sulla superficie del pezzo, mentre questo gira sul tornio, lasciando una serie di incisioni regolari; lo uchi-hakeme una decorazione a pennello con cui si passa un ingobbio bianco molto grezzo che copre solo parzialmente la superficie; la yubi-kaki con cui si generano motivi decorativi passando le dita sull'ingobbio ancora fresco così da rimuoverlo lasciando trasparire il colore sottostante. Le decorazioni sono realizzate prevalentemente con ossido di ferro su ingobbio bianco. Un'altra peculiarità è l'assenza di firma sui pezzi, di fatto non è consentito ai ceramisti di Onta di firmare la ceramica di propria produzione, la ceramica prodotta qui è unicamente e semplicemente Ontayaki, anche questo, credo sia stato apprezzato da Soetsu Yanagi insieme agli aspetti generali, lo stile di vita tradizionale e l’approccio semplice alla ceramica aderivano perfettamente alla visione della produzione artigianale di Yanagi espressa nella definizione del movimento mingei. Anche Bernard Leach ha visitato questo luogo diverse volte tra gli anni ’50 e ’60 ampliandone la notorietà e lasciando qualche traccia del suo passaggio come, ad esempio, l'impiego del manico. (vedi post del 28/9/2014)
1 Comment
Francesca
4/4/2024 09:27:36 pm
Che spettacolo questo racconto. Ho appena inserito Onta nella lista dei luoghi che voglio visitare
Reply
Leave a Reply. |
AutoriVesuvioLab Archivio
Ottobre 2023
Categorie
Tutti
|