come simulazione dell'effetto generato sulle superfici in cottura nei grandi forni a legna,
mi sembra il caso di utilizzare un ingobbio
per il controllo del colore (finalità estetica);
e che mi aiuti a limitare al minimo la porosità superficiale (finalità funzionale).
Purtroppo non posso più fare riferimento a quanto scrissi sulla formulazione degli ingobbi;
allora, prima di rimettermi a scrivere quello che so sull'argomento,
dirò qui lo stretto necessario al tema di oggi.
Quindi: perché sia un vero ingobbio diciamo
che la quantità di argille deve essere almeno il 40 - 50% della composizione complessiva;
poi serve un fondente, per favorire la vetrificazione necessaria ad una buona adesione ingobbio/superfice del pezzo;
quindi un po' di silicio, diciamo un 10 - 15% che conferisce durezza al rivestimento;
infine c'è la componente con funzione di colorante.
In letteratura c'è un ingobbio che ha queste caratteristiche ed è noto come ingobbio vetroso;
il nome è dovuto, ovviamente, alla presenza di elementi in grado di vetrificare.
Proverò qui una formulazione terrosa di questo ingobbio che più o meno sarò composta da:
Caolino 30%
Ball clay 30%
Feldspato 22%
Silicio 12%
Ocra gialla 6%
Oltre a questo ingobbio, proverò un altro rivestimento a base di roccia vulcanica. In particolare: il peperino di marino, una roccia effusiva tipica dei Castelli Romani.
Probabilmente dovrò miscelarla con un po' di grès (lo stesso con cui sono fatti i pezzi da rivestire) poiché, la roccia vulcanica macinata, si presenta come una polvere che aderisce con difficoltà alle superfici da ingobbiate.
Sulla roccia vulcanica, come i tufi o le pozzolane, dovrò fare un discorso a parte.
Lo farò presto.